' zja Rosa 'a Zùmmetta 

Antonio Raimondi


  << Non abbandonare mai la ricerca della verità (…).
Qualsiasi cosa avvenga, coloro che conserveranno
intatta, in fondo all'anima, la fede nei sacri principi
della vita saranno i più forti (…). Il mondo , se con-
tinuerà, sarà ricostruito sul loro credo >>.

"Severina" di I. Silone



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"'On si canoscìdi ' u mjdìco dallu spìzjalo cà pùri 'u fìgl' da Zummetta portìdi u cappello" 

sentenza di zia Antonia ' a zìngara sua vicina di casa

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Il silenzio, come tradizione del vecchio mondo contadino indica il modo più naturale di sopportare, subendole, le ingiustizie della sorte e della storia e di consumare nel proprio intimo la rabbia e la mortificazione: una consegna atavica trasmessa di generazione in generazione come programma di vita per significare la debolezza umana e l'inutilità della lotta contro il Destino e gli elementi della Natura. Un uomo può giungere alla soglia della sua vecchiaia e raccogliere in un solo sguardo l'insieme delle esperienze trascorse, con lucida semplicità e serena consapevolezza. Guardando nel centro della propria coscienza, quell'uomo avrà il coraggio di riconoscere il fallimento di un sogno ideale, per il quale aveva profuso le migliori energie della giovinezza. Della solitudine dell'esilio ricorderà la forza morale con cui non si è piegato alla sconfitta della sua utopia.
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' A Zummetta abitava in quella casupola ,con il lastricato come pavimento, le mura scrostate per l'umidità, una scala di pietra ripida come accesso, un forno sul pianerottolo per la "fattura" del pane, il tetto di "ceramìli"(tegole), nei cui anfratti nidificavano i passeri ,una finestrella con i vetri rotti, dove stavano in bella mostra in una "grasta"(vaso),una pianta "i pìtrusini"(prezzemolo), una "i misìlicoi"(basilico) ed una "i pipirussìlli"(peperoncini) forti; era l'ultima casa in fondo al paese nei pressi de canale in contrada Agropoli .
Si svegliava presto quando la casa era ancora immersa nel buio ed avvertiva l'alba dall'improvviso sonno dei tarli, dei topi e dei "scaravagli"(scarafaggi) e per quello spiffero che entrava dal buco del "passamuro" vicino all'uscio, dove quando usciva nascondeva la grossa chiave da "maschiatura"(chiavistello) della porta. Dormiva quasi vestita per il freddo, per cui dopo essersi alzata si metteva solo lo scialle nero a frange sulle spalle poderose ; si lavava con l'acqua de "vacile"(bacinella) , ravvivava il fuoco col le "iùcule"(pinoli) o con la "deda", si pettinava con la "pittinìssa"(pettine stretto) che serviva a "scarare"(togliere) anche gli eventuali pidocchi, poi si faceva le trecce che arrotolava a "corona" sul capo, pronta a sostenervi sopra le fatiche del giorno ed infine incominciava a svegliare tutti i suoi numerosi figli ed il marito perché ognuno doveva andarsi a "buscare"(guadagnare) il pane per la giornata. Dopo aver detto nella sua testa tre"patrinnuosti"(padrenostri) e quattro " avemarie" e anche qualche bestemmia partiva subito per le varie faccende: andare a riempire l'acqua con il "varrìli"(barile) al cannone, andare a scaricare il " rinale "(orinale) da notte, mungere il latte della capra, dare biada e paglia all'asino, governare il maiale e gettare il "trucchìusco" (granturco) alle galline, fare la " crussìia"( lavare i panni con la cenere), portare un fascio di frasche dal bosco di Carduralo . Tutta questa grande agitazione le mandava una parte di sangue vivido alle gote; era il momento in cui la pressione le aumentava e quindi bisognava attaccarsi al collo le "sanguette"(sanguisughe), seduta sulle scale dove intanto facevano capolino i primi raggi di sole. Un giorno però suo figlio Giuseppe la apostrofò così, stanco della sua vita di miseria e di stenti: - Mamma, voglio partire, voglio emigrare in quella terra ( l'Argentina) dove il sole si esibisce in dolci tramonti, voglio recarmi là dove nascono i sogni dei poveri, dove il dolore si spegne nel mare della malinconia della partenza, dove la speranza può diventare vita reale e giusta, dove il canto dei pettirossi si può accompagnare alla musica ( del tango) che mi tormenta l'anima, voglio andare là per inseguire una pace che qui per la mia povertà non trovo, una felicità che nessun volto di donna ancora mi ha concesso. Quelli erano anni di miseria nera, e la gente povera era troppa ; si riusciva a campare mangiando pane di "pruffuglia"(crusca),zuppa di cavoli , "ntùssi" (olive schiacciate) e prodotti del pollaio e del maiale. Ma ai giovani non bastava e fu così che il figlio più bello della Zummetta partì come tanti altri per l'America, che per la nostra gente voleva dire Argentina. Fu in seguito a questi fatti che nelle serate d'inverno, seduto vicino a mia madre a fare i compiti che il professore "bréscio"( albanese ) ci assegnava, con i libri ed i quaderni appoggiati sull'angolo della vecchia macchina da cucire "mundlos", vedevo arrivare a casa mia la comare Zummetta coi piedi nudi e bussare alla porta chiamando a gran voce mia madre, la comare Rafaiela del casato dei Gaitanella; si accomodava sullo "stumpo"(sedia di legno) vicino al focolare, tirava fuori dal petto la lettera del figlio appena arrivata per posta aerea e se la faceva leggere, essendo lei analfabeta, ad alta voce perché non c'erano segreti tra gente povera ed erano notizie in sostanza che interessavano tutto il vicinato se non tutto il paese.
"Cara benedetta Madre…stai contenta che qui in America la miseria non c'è, perché il lavoro c'è sempre e basta avere voglia di lavorare"trabaiar"per guadagnare bene; io sto bene e qui ho incontrato tanti dei nostri compaesani, che ti mandano a salutare; ti immagino seduta sui gradini della nostra povera casa, sola nelle sere senza luna, guardare le stelle e piangere sommessamente il tuo figlio lontano. L'Argentina era la terra promessa, aveva fatto un buon viaggio con il bastimento partito da Napoli, aveva il cuore gonfio di speranza e non vedeva l'ora di mandare i primi "pesos".Stava bene ma il suo pensiero correva sempre alle care viuzze del paese, senza luce, avvolte nel sonno, dove tutto è semplice e le case si alternavano agli orti. Purtroppo la parola scabra del suo linguaggio serviva a testimoniare un'amara realtà umana senz'altro sbocco che quello della emigrazione e della alienante solitudine della nuova terra. Aveva superato le forze avverse dei pregiudizi sacrali e della realtà economica grazie alla forza di volontà e soprattutto al costante impegno per il lavoro, il quale era divenuto quasi un culto in quanto non rappresentava solo un mezzo di sostentamento, ma il fine di tutta una vita, tramite il quale poteva raggiungere la riabilitazione ed il riscatto della sua persona e del suo stato sociale; la sua fatica santificava il sacrificio quotidiano ,permettendogli di riconquistare la dignità e la fiducia in se stesso; con tutto ciò non aveva cambiato del tutto il suo destino se nei momenti di sconforto diceva nella lettera che era meglio se fosse rimasto attaccato all'aratro,che continuava ad amare quelle strade strette di selciato dove asini col garrese piagato trascinavano da sempre i loro passi , e voleva essere seppellito al suo paese dove i suoi mali avevano consumato la loro eternità, dove a sera i silenzi ascoltavano altri silenzi, che si trasformavano in fede ,perché il silenzio per i contadini è preghiera.- Ah ! quelle piccole case aggrappate ai dirupi, quei campi abbondanti di arbusti disseccati sui quali infuriava l'agonia del vento, accanto ad agrumeti fioriti di zagare dal profumo inebriante. - Ah ! quante volte mi sono abbeverato alle tue mani amorose, quante volte hai riscaldato con le tue preghiere le mie speranze deluse; quante volte bambino mi hai accompagnato sulla spiaggia accarezzata dallo zefiro ionico, sui fiumi e lungo i campi dove aleggiava una calma pregna di mistero, e su quelle strade assolate dove svolazzavano cince e farfalle ,mentre in lontananza si udivano rumori di carri lenti, scampanii di greggi, il fischio del treno, un canto flebile, lontano di serenate ed un odore di messi per l'aria.- Oh! sentire ancora il respiro dell'anima ed il dolore di chi soffre, ascoltare il flauto del crepuscolo confondersi con il belare delle pecore di ritorno all'ovile, i colpi della vanga sulla terra pietrosa e i rintocchi delle campane di S. Giuseppe a mezzogiorno: vivere pensieri e sentimenti di vita mistica, come quando nelle feste padronali i ragazzi lanciavano gli aquiloni con gli occhi lucidi di stupore. - Oh! la notte accarezzare l'ora vecchia di secoli, dare ascolto all'assurdo cammino dei pensieri lungo quella strada solitaria dove il canto d'amore nuziale s'incontra con la poesia della partenza, affidare al ricordo la visione di quelle bianche vele delle barche dei nostri pescatori che sembrano ali di farfalle o angeli in fila, cercare attraverso il ricordo quelle musiche di lontane canzoni d'amore, quei colori pallidi o smaglianti di stagioni passate, rintocchi di parole che la distanza custodisce come fanno le conchiglie con la voce del mare. - Oh! queste sensazioni inebrianti possono nascere anche da un odore di minestra ad ogni svolta di vicolo, da un sapore ,come possono nascere da una melodia o da uno scroscio di pioggia; ed in un lembo estremo di ricordo, in questa attesa senza tempo mi sento come una sentinella insonne, per la quale il passato diventa l'unica certezza in attesa della fine e si affollano tanti nomi, esistenze, immagini che sembravano perdute.
Cara benedetta madre confesso ancora che mi distrugge il cuore il ricordo di quel paesaggio rupestre di colline e valli traversate dalla grande fiumara del Saraceno, ai margini del quale in contrada Marzocco, rivedo la nostra piccola casa di campagna circondata dall'orto, dalla "vigna" di arance e dai mandorli fioriti, intorno, sotto un secolare pino, mormorava il ruscello, ai lati imperava l'ortica a tratti frusciante per lo sfrecciare di una lucertola, e tanti fiori gialli e qualche papavero vermiglio: di te dolcissima madre mi è rimasto il ricordo di una giornata di sole; il viottolo di pietra con a lato filari di agavi e fichi d'india, le altre casupole dei "vignarùli", le grandi giocate a noci ,lo spiazzo dell'aia dove si danzava al suono di un grammofono o di una fisarmonica…echi ,suoni e silenzi di eternità.Come è passata in fretta la mia fanciullezza!!
E la mia terra ,cara benedetta madre, è laggiù da voi dove l'arsura nutre le scarne ossa dell'ulivo saraceno, dove il fiore dei canti materni nutre le bocche affamate dei bambini, dove il sole è l'unico elemento dell'universo che riscalda i tetti bassi delle case; dove i boschi, i ruscelli, le dolci colline, la vita di paese gli ricordavano l'infanzia e l'innocenza; oh felicità fatta di piccole cose, ma che sublimavano lo spirito!
E mentre un nodo di commozione le attanagliava la gola e due grosse gocce di lacrime le luccicavano tra le ciglia la Zummetta pregava mia madre di scrivere subito la risposta per quello sfortunato figlio che era andato così lontano, verso quel nuovo mondo portandosi dietro il suo carico di dolori, nostalgie e speranze.
Caro benedetto figlio…e mentre dettava la lettera ripercorreva il calvario dell'emigrazione del figlio; e col pensiero lo rivedeva piccolo e già con la zappa tra le mani callose a vangare con una sorte di rabbia e di disperazione quasi a chiedere a quel suo pezzo di terra un attimo di riposo per i pensieri tristi e gravi per la sua sorte; e ricorda che intorno c'era il silenzio dolcissimo di un fragile autunno, pieno di profumi e di erbe moribonde. Gli scriveva che per l'età e per i suoi malanni non andava più per feste e fiere per vendere i suoi poveri prodotti, ma da qualche tempo le feste le celebrava nella sua memoria, perché così aveva l'impressione che i suoi santi protettori le fossero compagni dolorosi della sua solitudine; per lei l'amore per quella terra misera era un legame viscerale, come lo era per i personaggi di Verga , verso una tradizione ancestrale, era un'espressione del proprio esistere; ecco perché l'emigrazione era diventata per lei un male secolare da debellare; creava, infatti, illusoriamente condizioni favorevoli di vita, poteva accrescere il livello di benessere, era fondamentalmente una storia di speranze, ma poneva le basi di una alienazione e di una solitudine incomparabili. Gli emigranti ,come suo figlio, continuavano a vivere una vita per metà, con la mente dentro il mondo dove avevano cercato e talvolta ottenuta fortuna, ma con il cuore nella terra che avevano lasciato con tanto rimpianto ed amarezza…-Oh! l'enorme tempo che scrosta gli anni dalle vecchie case dirute, mentre dal cielo si staccano stelle di lampare, e si accendono lumi di speranza, si svegliano i sogni delle spose che attendono da troppo tempo il ritorno dei mariti emigrati, rapiti un giorno al sole della propria terra, con in bocca ancora il sapore del pane di giornata, e nel cuore un macigno straziante, ed il grido di dolore che si perde negli effluvi millenari del mare solcato dai bastimenti. "Merica-Merica!! In America voglio andar…". 
- Oh! nei declivi dei colli si ode, figlio mio benedetto, il suono dell'ultimo zufolo dell'ultimo pastore, ed il canto dell'ultimo poeta imbevuto del mistero dei secoli che ha visto trascorrere la sua vita senza invecchiare, ed ha visto la sua anima viaggiare attraverso la luce delle stelle nell'infinito dei cieli, ed ha cantato… "il Mare Oceano", un'immensa vastità di acqua ora calma ora procellosa, onde fluttuanti e schiumose, ricco di palpiti di vita, pieno di misteri, maestoso sia all'alba quando s'incontra con i primi raggi di sole, sia al tramonto sotto i raggi morenti: a questa distesa di acqua affido i miei dolci pensieri per te figlio mio e ti benedico per quanti stille di latte ti ho dato con le mie mammelle!!… ed il "Fiore d'oleandro" messaggero di primavera e di giovinezza che del loro meraviglioso profumo riempiono l'aria! e le "Tradizioni nostre" ricolme d'umanità e di saggezza, sature di fascino e buon senso , i "Crinali" dei monti rifugio inviolato di corvi e sparvieri, e … "la Vita" un'avventura umana, rotta dai patimenti e dalle sofferenze, sospinta e risospinta in giorni altalenanti di estasi e di paure, che vaga dietro sogni accattivanti di terre lontane, aperta al soffio della umana solidarietà; il suo andare un tempo aveva una meta ,il suo soffrire era consapevole tributo ad un'esistenza cristiana.
L'emigrazione rappresenta la poesia della partenza e del ritorno, dell'infanzia perduta e del paese ritrovato ,che conquista le sue ore fra i baluginii di una stanca solitudine, di una identità incerta che si smarrisce lentamente e ricompare stentatamente nel buio dei vicoli; ed il dramma e la sofferenza diventano dimensione poetica, che viene testimoniata dai loro miti le "parmìdie"(favole); la dolcezza della rievocazione , domina il viaggio dentro il quale si bruciano i pianti delle partenze e le ansie dei ritorni ed il ritorno si porta dentro secoli di sconfitte, abbandoni, perdute speranze…tutto è eterno nell'infanzia.( C. Alvaro).

E LA POESIA È MEMORIA DI COSE PASSATE, NOSTALGIA DI MOMENTI FELICI, MA ANCHE SPERANZA DI UN LIETO FUTURO: MEDITAZIONE SULL'UOMO E LA SUA STORIA, RIPENSAMENTO SULLA VICENDA ETERNA DELLO SPIRITO, È SEGNO DI ANTICHE TRAGEDIE, DI PROFONDE LACERAZIONI DELL'ANIMA, MA ANCHE FIDUCIA NELLA COMPRENSIONE UMANA, MEDIANTE IL FILTRO DEL CANTO AFFIDATO AL VALORE-MUSICALE DELLA PAROLA DI SUA MADRE: ' A ZUMMETTA. UN GIORNO LONTANO, UN VENERDÌ SANTO, ALLORCHÈ I SUOI PENSIERI DI FANCIULLO SCAVAVANO NELLA MENTE PER SCOPRIRE IL MISTERO DEI SEGNI DELL'IGNOTO, PER CERCARE NEL VUOTO DELL'IMMENSITÀ LA LUCE DELL'ANIMA CHE SI MUOVEVA CON IL DOLCE SOFFIO DELLA FEDE E DELLA SPERANZA, AVEVA VISTO IN CHIESA UNA MADRE DOLCISSIMA CHINA SULE SOFFERENZE DEL FIGLIO DELL'UOMO . 
<< UN PROFUMO D'INNOCENZA ED ECCO CHE UN CANTO DI SERE LONTANE, DI DOLCE MALINCONIA LE SGORGA ALL'IMPROVVISO DAL CUORE E RIPETE QUELLE STESSE PAROLE IMPRESSE INDELEBILMENTE NELLA SUA MENTE ALLORCHÈ UN'ALTRA MADRE PIANGEVA IL SUO FIGLIO PERDUTO : NINNA OH!! NINNA OH!! TUTTO È COMPIUTO!! L'ULTIMO GRIDO DI DISPERAZIONE È GIÀ LEGGERISSIMA PIETRA, L'ABBANDONO SI SCIOGLIE IN UN ABBRACCIO, LE LACRIME DELLA MADRE SONO ADORAZIONE PERPETUA E TENEREZZA PER TUTTI, NEL MARMO LA FERITA AL COSTATO SI RIMARGINA, IL CORPO È DOCILE, UN ABBRACCIO CHE AVVOLGE INNOCENTI ED EMPI E ACCOGLIE LE DOMANDE MAI PRONUNCIATE DI STENTI, LE MANI PROTESE IN UNA CONSOLAZIONE CHE NON ERA DELL'UOMO: LA PACE DOPO IL TORMENTO>>