Tempesta

Francesco Gugliotta



Era immobile, in piedi,annullata nel silenzio dell’ampia stanza da letto,davanti alla vetrata che dava sul balcone.
Impassibile, con lo sguardo apparentemente perso nel vuoto, quel vuoto pauroso di un triste pomeriggio d’inverno.
Erano da poco passate le sedici e lei stava li, soggiaciuta da una forza più prepotente della sua passione.Appariva inerme, perduta nel grigiore del giorno che stava tramontando, e che ininterrottamente aveva invaso quel cocuzzolo con una bufera di acqua, vento, grandine.
Il silenzio veniva talvolta interrotto dai gemiti che il vento prepotentemente produceva penetrando le fessure delle imposte, e liberato all’interno, produceva vezzose e sinuose oscillazioni sul suo leggiadro abito che pur nella penombra riusciva a far risaltare le fattezze e l’armonia del suo corpo, per nulla mortificato da un età non più giovane.
A volte i gemiti erano abbastanza intensi da confonderli quasi con il pianto addolorato di un bimbo e in questi attimi il suo corpo statuario presentava impercettibili tremiti seguiti da un rassicurante,profondo e liberatorio respiro dopo il quale riprendeva l’immobilità, e allo sguardo perso nel vuoto, in quegli istanti si avvertivano improvvisamente vivi quei suoi grandi occhi affascinanti ed espressivi.
Era immobile e apparentemente non reattiva anche se, prepotente, germogliava nel suo animo un rancore sempre più violento e quasi incontrollabile al punto da avvertire un enorme bisogno di muoversi, di far qualcosa; ma nell’attimo in cui iniziava a mandare gli impulsi al suo cervello, un senso di frustrazione le impediva di eseguire alcun gesto; rimaneva immobile, bloccata e l’impotenza le ingigantiva la disperazione.
Era lì pazientemente in attesa che il cielo, sconvolto dalla rabbiosa tempesta, dileguasse le nuvole torve, brutali, opprimenti che già da parecchie ore imperversavano nel loro malvagio rito.
Ecco il suo rancore!
Il rancore per quella giornata,ansiosamente attesa,pazientemente preparata che si era rilevata un disastro; sì perché lui non sarebbe a quel punto più venuto; perché quell’appuntamento, non previsto dal destino, quell’incontro che sarebbe dovuto avvenire furtivamente non poteva concretizzarsi nel bel mezzo di una bufera che lei, Giulietta era il suo nome,da qualche ora, suo malgrado, stava osservando.
Lui, il Romeo, era un aitante professionista;lei l’aveva subito trovato attraente, non per il suo fisico che seppur in ottima salute non era poi eccezionale;ma lui era interessante, colto, elegante, fornito di maniere e metodi che le avevano infiammato il cuore al primo istante.
Era consapevole della particolarità di un sentimento che superava di gran lunga l’intensità di una passione d’amore che invece aveva lasciato il posto ad una condizione di quotidiano smarrimento, di intima infelicità, a volte di ardore fisico e spirituale.
Lui ormai era necessario alla sua vita, al suo respiro, al suo caldo benessere, alle lusinghe e ai piaceri che l’avrebbero finalmente condotta ad una riscossa emotivamente e drammaticamente passionale: lei sola nel suo mondo di fuoco, con il suo uomo ,il suo Romeo; loro soli e basta. L’affanno del loro fiato alla rincorsa di un bacio d’amore, passionale,violento, inebriante; l’affanno dei loro corpi abbarbicati in un sussulto nel momento più bello!
Era stato già deciso.
Con una scusa, dopo l’ora di pranzo aveva comunicato al consorte che, non sentendosi bene,preferiva andare a riposare e che sperava di non essere disturbata per un ragionevole numero di ore. Si era chiusa la porta della camera da letto alle spalle e si era diretta verso il bancone nell’ attesa spasmodica che Romeo, come convenuto, si sarebbe presentato in sordina sotto il balcone e lo avrebbe raggiunto salendo una scala in legno che al mattino lei gli aveva piazzato proprio lì in direzione del balcone, poggiandola sul prato.
Dopo aver controllato che tutto fosse secondo i piani, scrutò il cielo ma immediatamente le prime gocce d’acqua di un temporale improvviso presero a bagnarla, tal che rapidamente si diresse all’interno della camera.
Ora era lì e il suo rancore era rivolto alla bizzarria atmosferica che aveva sconvolto i suoi piani.
Ma improvvisamente….fu un attimo: dalla nebbia che avvolgeva la casa si intravide una figura che si muoveva in modo impacciato e che tentava di afferrare la ringhiera del balcone; con notevole difficoltà, lentamente stava riuscendo a scavalcarlo, per penetrare al suo interno. Il gesto, atleticamente era penoso, considerando inoltre che il passaggio della ringhiera aveva comportato, al momento dello scavalcamento,un pesante e doloroso contatto con i suoi attributi, quelli per inciso che avrebbe dovuto mostrare gagliardamente ed enfaticamente. Ne usci un urlo di dolore seguito rapidamente dal soccorso di Giulietta che intanto aveva aperto la vetrata tentando di dargli un aiuto.
Entrarono rapidamente nella camera da letto: lui, il Romeo, difendeva ancora con la mano ciò per cui, ragionevolmente, avevano deciso di incontrarsi; lei, la Giulietta fraintese tutto e si immaginò che quello fosse un linguaggio cifrato,peraltro e per certi versi esplicito che voleva dire: non perdiamoci in chiacchere, la passione non può attendere !
Non avevano calcolato che il consorte, insospettito dall’urlo emesso da Romeo, temendo che qualcuno fosse penetrato in casa, aveva frettolosamente staccato dalla parete la spada , ricordo della sua adolescenza da atleta, ne aveva controllato il bordo tagliente e con una rincorsa degna del miglior velocista,accompagnata da un urlo disumano era precipitato nella stanza da letto proprio nell’attimo in cui Romeo, brandendo secondo lui la sua spada, avanzava pretese nei confronti della sua Giulietta.
Trascorse un attimo, drammatico.
Poi tutti e tre pateticamente volsero lo sguardo… alla ricerca….
Dal margine superiore dell’armadio, faceva capolino timoroso, pendulo e stanco un cencio di pene sbrindellato!