UN PAZIENTE AFFETTUOSO, UN SEGRETARIO OSPEDALIERO INSOLITAMENTE SBADATO ED UN VIOLENTO TEMPORALE POSSONO CREARE UN NUOVO PERSONAGGIO DEL PRESEPE ?

Francesco Sgambato


Era il 2 Luglio del 1992 (e sottolineo Luglio).Finalmente la nuova casa era pronta per l'inaugurazione e mi ero messo in ferie per effettuare il trasloco dei mobili dalla precedente abitazione che distava appena 40 metri (praticamente bisognava solo attraversare la strada, dal viale della stazione alla nuova casa).
Il tutto era stato organizzato alla perfezione per rendere, il meno pericoloso e traumatico possibile, il trasporto dei mobili antichi e degli altri oggetti delicati, che ognuno di noi possiede nella propria abitazione ed a cui tiene molto (quadri, ceramiche, lampadari, statuine del presepe, vasi, etc..).
Tutto procedeva secondo i piani prestabiliti e gli oggetti più fragili venivano trasportati a mano, ponendo il massimo della attenzione nelle operazioni più delicate; il tutto con l'aiuto degli operai, la collaborazione dei figli (che, insieme ai cugini, si divertivano molto, interpretando con grande serietà il ruolo di responsabilità che ogni volta veniva loro affidato) e la supervisione della padrona di casa (mia moglie) che dirigeva i lavori.
Fu, intorno alle ore 13,30 (quando ci preparavamo ad un meritato intervallo di riposo, pregustando il pranzo preparato dalla nonna), che giunse la inaspettata telefonata dall'ospedale. Era Gino, il solerte segretario dell'ufficio economato (allora non si chiamava ancora C.U.P. - Centro Unico Prenotazioni) che mi chiese a bruciapelo: "Dottò, ma voi, oggi, venite a fare le visite in ambulatorio?". (Dovete sapere che fin dal 1978 avevo iniziato una attività ambulatoriale intra - moenia, fuori orario di servizio, in regime libero professionale).
Sorpreso dalla domanda, gli risposi in modo categorico: "Certamente no! Ma quale ambulatorio, Gino ? Ti sei dimenticato che mi sono messo in ferie per effettuare il trasloco e che ti avevo avvisato di non prenotare per tutta la settimana ? Possibile che ti sia sfuggito ? Proprio a te, che sei sempre così preciso ?"
"Uh dottò, me lo sentivo. Ora ricordo. Ho fatto il pasticcio. Ho prenotato otto persone e la prima visita comincia alle ore 15,30. Mi dispiace, ma ormai penso che dovete fare tutto il possibile per venire. Lo so che è un sacrificio, ma, altrimenti, che figura facciamo ?
"No, caro Gino. Parla al singolare. Semmai la figura la fai tu. Perché tu, ora, telefoni a tutti i prenotati, ti scusi con loro, spieghi la vera ragione del disguido e riaggiorni le prenotazioni alla prossima settimana, quando io ritorno dalle ferie."
"E come faccio ? - rispose Gino - "Io, di alcuni di loro, non ho neppure il numero telefonico e, probabilmente, molti sono già in viaggio."
Per non farla lunga, nel raccontarvi tutta la prolungata e tempestosa conversazione telefonica, fui costretto ad abbassare mestamente il telefono, a liberarmi della mia "tenuta" da lavoratore esperto in traslochi (jeans e scarpe da tennis), a lavarmi di corsa, ad indossare la mia "divisa" da professionista ospedaliero (giacca e cravatta) e ad avviarmi in macchina in tutta fretta, rubando al volo un panino, una banana, una mela e mezza coca-cola sottratta a mio figlio.
Tutto ciò avvenne sotto lo sguardo di rimprovero di mia moglie, che si dichiarava "abbandonata nel bel mezzo di un trasloco", tra operai, cristalli da salvaguardare e figli che, entusiasmati dalla originalità dell'insolito lavoro, paragonabile ad un gioco, erano ormai elettrizzati e diventati "più scatenati e pericolosi" del solito.
Preso dai sensi di colpa per le giuste rimostranze, preoccupato (anche io) per l'andamento dei lavori senza la mia presenza, arrabbiato contro il segretario insolitamente distratto, mi infilai in macchina per affrontare i 35 Km., che mi separano, ordinariamente, dall'ospedale, avendo anche la certezza di arrivare in ritardo rispetto agli appuntamenti previsti.
Frattanto, notai che cominciava a cadere, in sordina, una fine pioggierellina fastidiosa, sicuramente insolita per quei giorni di Luglio.
Trafelato, arrivai in ospedale alle 16.00, nonostante i molti sorpassi azzardati.
Le visite non furono solo quelle otto prenotate ma, come al solito, vi si aggiunsero gli amici degli amici. Tra l'altro, poi, approfittando del mio ritorno in ospedale, il Medico di guardia non volle perdere la gradita opportunità di farmi conoscere due pazienti nuovi, ricoverati nel primo pomeriggio nella nostra Divisione di Medicina Interna, i quali erano in condizioni critiche e lo preoccupavano non poco.
Insomma, si fecero le ore 22,30, quando, finalmente, potei ripartire per casa, ove giunsi poco dopo le ore 23.00, sotto una pioggia scrosciante.
Il rientro non fu indolore. In casa c'era un'atmosfera pesante, che quasi rasentava una tragedia greca, ma non ancora da lutto.
Temetti il peggio ("si sarà rotto qualche vaso di ceramica antica o qualche pezzo di antiquariato, cui io e mia moglie teniamo molto, e la responsabilità, ora, verrà attribuita alla mia colpevole assenza"). Indugiai nel porre la naturale domanda: "Beh, come sono andate le cose ? Ve la siete cavata bene anche senza di me ? Gli operai sono stati precisi ?"
"Se sapessi!" - rispose mia moglie - "Subito dopo che te ne sei andato, ha cominciato a piovere in modo subdolo, e. poi, dopo un'ora, è iniziato un violento temporale, che ancora non accenna a smettere, come vedi. Siamo stati costretti ad interrompere il lavoro e gli operai hanno deciso di andarsene. Torneranno domani, se sarà bel tempo."
"Ah, bene." - risposi risollevato - "Allora, è andata meglio del previsto, così la mia assenza non ha procurato danni. Ora ceno qualcosa velocemente e, poi, andiamo subito a riposare per prepararci alle fatiche che ci aspettano domani. Praticamente inauguriamo stasera la casa sotto la pioggia (casa nuova bagnata, casa fortunata) come avevamo programmato".
"Eh, sarebbe bello," - disse mia moglie - "ma ancora non sai che cosa è successo a causa della pioggia ? Praticamente, non abbiamo dove andare a dormire! L'interruzione brusca del trasloco ha fatto sì che, in questa casa nuova sono arrivate le reti ed i letti, mentre nella casa "vecchia" di prima sono rimasti i materassi, che non abbiamo potuto trasportare per non farli bagnare"
"Ah," - dissi - "e come facciamo ?" Mi veniva quasi da ridere, ma capii che il mio humour poteva essere fuori luogo e sicuramente non sarebbe stato apprezzato. 
"Non ci perdiamo d'animo. Vuol dire che ci organizzeremo a casa della nonna (mia madre la chiamiamo sempre così).
"E come sarà possibile ?" - rispose mia moglie - "Siamo in cinque. Dove ci mettiamo ? E, poi, è già tardi, sarà già andata a letto e non conviene certo svegliarla per questo motivo. Sai come si agiterebbe se ci vedesse arrivare a questa ora ? Tu la conosci meglio di me". "Va bene!" - risposi - "Allora vuol dire che andiamo a dormire nella casa "vecchia", dove sono rimasti i materassi".
"Eh sì!" - ribadì mia moglie - "Così dormiremo per terra, senza lenzuola e coperte, come i poveri barboni o gli extracomunitari nelle baracche. Non mi sembra un'idea brillante, né un modo elegante per festeggiare e ricordare il trasloco nella nuova casa".
"Ho capito! Ora ci penso io!". Chiamai Benedetto (mio figlio): "Prendi gli ombrelli e vieni con me. Io vado a prendere, se c'è ancora, quel telo di plastica che teniamo, da tanto tempo, in cantina (vedi che non bisogna mai buttare nulla!)".
Riuscii a recuperare il telone e ritornai sopra trionfante. Accompagnato da mio figlio, nella notte fonda, sotto un temporale che diventava sempre più violento (si dice a Napoli: "Dio se n'era scurdato"), ritornammo alla casa semi-abbandonata, ove rivestii, con il telone e con cura, uno dei materassi. Frattanto il temporale aveva fatto, anche, andare via la corrente elettrica. "Meglio," - pensai tra me - "così nessuno ci potrà vedere per strada!"
Trasportammo il materasso, giù per le scale fin nell'androne del palazzo e, spiando dal portoncino verso la strada, aspettammo il passaggio di un'unica macchina che ancora transitava a quell'ora tarda sotto la pioggia. Quando la via ci apparve completamente libera, pensammo che il momento fosse favorevole. Ci caricammo, sulle braccia alzate sulla testa, il materasso rivestito accuratamente di plastica e, all'unisono con mio figlio (complice divertito), sussurrando esclamammo: "1- 2 - 3 . Via!"
Attraversammo la strada di corsa, con il materasso che ci faceva anche da ombrello capiente in testa e ci infilammo furtivamente nel portone della casa nuova. Arrivati nell'androne delle scale, spogliammo il materasso e, mentre le figlie e la moglie provvidero a trasportarlo, su per le scale, in casa, noi, con il telo ripiegato e sotto gli ombrelli, ritornammo indietro per ripetere la manovra con un altro materasso.
Questo via vai avvenne sette volte, come una catena di montaggio, sotto un'acqua scrosciante, nel buio della notte, illuminati dai lampi e spaventati dai tuoni che, ogni tanto, si facevano sentire, accompagnati da un cane che insistentemente abbaiava da un portone vicino ad ogni nostro passaggio..
Per me fu una conclusione inattesa di una giornata faticosa; per i miei figli fu un grande divertimento; per mia moglie fu una soluzione brillante al problema che la teneva inquieta. La casa nuova fu inaugurata nella data che avevamo stabilito e non ci sarebbe sembrato di buon augurio un inizio diverso.
Si erano fatte le due di notte quando finalmente andammo a riposare, stanchi ma orgogliosi, sui materassi rimasti perfettamente asciutti (missione compiuta).
Nei giorni successivi, con tutta calma, portammo a termine gli altri piccoli lavori di completamento per la sistemazione definitiva. 
Dopo alcuni mesi, a fine Novembre, quando ormai già si cominciava a respirare l'atmosfera natalizia, mi detti da fare per tirare fuori dalle scatole la mia collezione di "pastori" del Presepe napoletano che, fino ad allora, non avevo ancora messo in circolazione in casa.
Vanamente tentai di coinvolgere anche mio figlio nella "operazione presepiale" e, come per gli altri anni, anche se con garbo, mi rispose che aveva da fare, mostrandomi di non essere molto interessato alla cosa, il che, ovviamente, non mi meravigliò.
Ormai è un classico che ai figli, appena cominciano a farsi grandi, non piace contribuire alla preparazione del Presepe; basti pensare alla magnifica scena iniziale del "Natale in casa Cupiello" di Eduardo de Filippo, in cui, alla domanda del padre "Te piace 'o presepe ?", il figlio Tommasino, detto Nennillo, risponde più volte, sempre più dispettosamente: "Nun me piace". I tempi ed i gusti non sono cambiati dall'epoca della stesura della commedia eduardiana.
Così, mentre, negli ozii e nei tempi disponibili domenicali, mi accingevo a portare a termine il tradizionale gradito impegno annuale pre-natalizio, sentii bussare alla porta. "Speriamo che non sia il solito scocciatore!" - pensai fra me - "Non si può stare tranquilli, nemmeno di Domenica".
Aperta la porta ebbi la gradita sorpresa di vedermi d'avanti un mio giovane paziente, pasticciere, che non rivedevo da mesi. "Che vai facendo da queste parti ?" gli chiesi, mentre lo facevo accomodare.
"Sono venuto a portarvi un regalo per Natale" e, dicendolo, pose sulla tavola una scatola di cartone.
Sorpreso, domandai: "E di che si tratta ? Una torta ? Non è una cattiva idea, per oggi, anche se continuo a ripetermi invano che dovrei sempre cominciare a dimagrire un po'. Ma le tue torte sono sempre state troppo buone per avere il coraggio e la forza di rinunciarvi".
"No, dottò, chesta vota nun è 'na cosa che se magna" - rispose il pasticciere, sorridendo in modo sornione.
Ancora più incuriosito, scartabellai in tutta fretta la scatola e, tra carta e altro materiale da imballaggio, venne fuori una opera in terracotta della scuola presepiale napoletana; scuola che esiste da secoli in via S. Gregorio Armeno ed è ,ormai, famosa in tutto il mondo. (figura 1)
Appena vidi quei due personaggi, rimasi colpito non solo dalla fattura ma, ancora di più, incantato dal loro significato intrinseco. Si trattava di un padre e di un figlio che trasportavano un materasso.
Commosso dal piacere e dall'emozione, e percependo subito la grande affettuosità ed il pensiero gentile, che il mio paziente aveva avuto per me, esclamai: "E tu che ne sai? Come fai a saperlo ?"
E lui di rimando: "T'hanno visto, dottò! Vi hanno visto, insieme a vostro figlio, quella notte! Ne hanno parlato tutti, ormai, in paese. Io, sapendo che vi piacciono i pastori napoletani, sono andato a S. Gregorio Armeno e ve li ho ordinati : un uomo ed un figlio che hanno le mani alzate per portare un materasso. L'artista ceramista ha fatto il lavoro, che è venuto bene, anche se vi ha fatto con la barba e voi non la tenete. Questo errore non è colpa mia, ma mi è piaciuto lo stesso. Poi, insieme a mia moglie, ho confezionato il materasso e l'ho piazzato in testa ai due pastori. Ed eccoci qua."
Ovviamente non mi volle rivelare chi ci aveva visto, ma tanto non aveva importanza. Qualcuno, quella notte, ci aveva colto in flagranza di reato, probabilmente illuminati dal bagliore di un fulmine, ed aveva poi sparso la simpatica voce tra gli amici (immagino con l'ironia, spero benevola, di tutti i miei compaesani). Nonostante apprendessi, in quel momento, con mio parziale disappunto, di essere stato "scoperto" in quella insolita operazione notturna sotto la pioggia, penso che, poche volte nella mia vita, come quella sera, mi sono sentito così appagato; nessun altro regalo avrebbe mai potuto farmi così contento. Abbracciai, per la gratitudine, il mio paziente pasticciere e mi feci subito aiutare a posizionare i nuovi "pastori" sul mio Presepe, che, dovete sapere, tengo in pianta stabile in una stanza della mia abitazione. E, come potete vedere dalle figure 2 e 3, i nuovi personaggi si sono subito ambientati proprio bene.
Noi, di casa, sappiamo che essi rappresentano un pezzo di storia della nostra famiglia, ma gli ospiti in visita hanno subito, come prima impressione, l'idea che quei nuovi personaggi (padre e figlio) portino un materasso alla grotta di Betlemme, ove di sicuro ce ne doveva essere un grande bisogno per sostituire la mangiatoia e la paglia.
Praticamente, per tutti, essi esprimono il concetto della solidarietà spicciola, ma pratica, oltre alla devozione sincera, come altrettanto viene espresso da quasi tutti i personaggi del Presepe napoletano.
Ognuno di essi, infatti, porta qualcosa nella sua semplicità (frutti, selvaggina, oggetti da lavoro, etc.) ma nessuno, fin'ora, aveva pensato di portare un giaciglio più confortevole.
Questo padre con la barba (che io non ho) e questo figlio, portano un vero materasso di lana, secondo la tradizione locale che lo ritiene il migliore e il più pregiato. Dovete sapere, infatti, che il materasso in testa ai due personaggi non è di terracotta, come potrebbe apparire dalla foto, ma è fatto realmente di stoffa con imbottitura di lana, come si può facilmente apprezzare alla palpazione con le dita.
Si vede che, nonostante gli interessi anche allergologici del donatore, egli non si è preoccupato molto di una prevenzione anti-allergica. Nella sua spontaneità ed affettuosità ha voluto solo rendere l'opera quanto più realistica possibile e quanto più confortevole.
La conclusione della vicenda è che il trasportatore di materasso può, a buon diritto, entrare nella storia del Presepe napoletano e, magari, questa può essere l'occasione per arricchire ulteriormente il cast degli attori sulla scena presepiale, inventando il pastore che trasporta i cuscini, le coperte, etc.
Questo nuovo personaggio è stato creato da una serie di combinazioni favorevoli (il violento temporale, il segretario sbadato, il trasloco in atto, la moglie tenace, ma innanzitutto la simpatia, la creatività e l'affetto di un paziente eccezionale) ed a tutti i "responsabili" deve andare la nostra immensa gratitudine.
Per merito loro, infatti, questi nuovi personaggi possono essere interpretati sia (banalmente) come l'espressione simbolica del nostro trasloco (si dice a Napoli: 'o sfratto 'e casa), sia, molto più significativamente, come emblema della disponibilità umana ad accogliere, nel migliore dei modi, Cristo sulla Terra. 
L'ultimo (ma il più importante) aspetto positivo, rappresentato da questo magnifico regalo, è che, da allora, mio figlio ha cominciato a mostrare qualche interesse per la preparazione del Presepe e, oggi, non gli dispiace riconoscersi, con orgoglio, tra i pastori che arrivano alla grotta con il materasso in testa, seguendo la stella cometa (e questo, per me, è il regalo più grande, perché ciò vuol dire, metaforicamente, che condividiamo gli stessi obiettivi, accomunati anche e non solo da un materasso). Tra l'altro, poi, ad onor del vero ed a correzione del falso storico rappresentato, a sua insaputa, dal ceramista, i personaggi non erano disposti come sono stati realizzati dall'artista ma, nella realtà, mio figlio mi precedeva e, quindi, era lui a guidare me. Senza retorica, questa è, sicuramente, la cosa più bella che un padre ed un figlio possano desiderare e realizzare.