Nonni
Sergio Stagnaro


Domenica mattina, 30 ottobre 1994, la pianura padana era ancora immersa nel buio della notte e nella fitta nebbia, quando, accuratamente sbarbato, lavato e pettinato entrai canticchiando nella sonnolenta cucina, dove rapidamente consumai la colazione. Mia moglie e mia cognata erano visibilmente soddisfatte della mia partecipazione alla gita a Roncole-Verdi. In realtà, felicemente rivivevo analoghi episodi della mia fanciullezza, quando, dopo una settimana di studio, nonno Nanin, fucile a tracolla, pronto ad iniziare la domenicale battuta di caccia, mi osservava diver­tito deglutire in fretta e furia lat­te e caffè, sollecitato dal rapido scodinzo­lare del cane piuttosto irre­quieto.

 A notte ancora profon­da, in un silenzio interrotto soltan­to dal  lieve rintocco di lon­tane campane, camminando su sentieri circon­dati da ulivi e pini, Nanin mi raccontava la sua vita di emigran­te negli States, il matrimonio con nonna Teresa a Boston, la nasci­ta e la malattia di Alice, “Ella”, mia madre, il forzato ritorno in Italia, il negozio di stoffe e arti­coli da caccia in Via Sara all’ini­zio della Val Petronio, tappa obbligata dei nu­merosi  vian­danti, prove­nienti a piedi o in carrozza dai numerosi, piccoli paesi ed in particolare da Casarza Ligure.

Durante la grande guerra, a causa anche dell’età, nonno Nanin aveva ottenuto il permesso di lavo­rare in negozio al mattino e nel pomeriggio era obbligato a prestare servizio militare lungo la ferrovia, che collegava Riva Trigoso e Moneglia per mezzo di lunghe e strette gallerie, passando a ridosso dei Cantieri Navali, in prossimità degli stabilimenti di Montecatini. Svolgevano questo “delicato” servizio per la Patria in guerra, mio nonno, il signor Pippo, abilissimo cacciatore di lepri, ed un giovane di origine emiliana, uomo di viva intelligenza e buona cultura, che lavorava quale “operaio­ militare” nelle trafilerie di Ca­sarza Ligure, in quanto esperto in caldaie a vapo­re.

Il compito prin­cipale dei tre amici non era di natura bellica: perlustrato rapi­damente un trat­to di ferrovia alla ricerca di even­tuali merci cadu­te dai treni, de­posto il fucile sempre scarico, seguendo una specie di liturgi­co rituale, scen­devano al mare per pescare vici­no allo scoglio di Asseu.

Nanin, uomo giusto, mi chie­deva informa­zioni sul nonno paterno, Celestino, che passava le sue giornate nell’ufficio po­stale  e  telegrafico, allestito a sue spese, e nel­la personale bi­blioteca, ricca di pregevoli volu­mi sempre bene ordinati e trattati con la massima cura, dove appagava le esigenze spirituali.

“Celestino sta bene?... Cosa ti ha raccontato que­sta settimana?.. Lenin cosa fa?…”

Lenin, al secolo Elena Castagnola, perpetua di un parente sacerdote, era di casa presso il nonno paterno, anche a causa di zio Augusto, l ‘Arciprete.

Saggia nella sua semplicità, estroversa, di note­vole intelligenza, sempre vestita di nero, il colore dei suoi occhi profondi e dei lunghi capelli, che scendevano ai lati del capo fino a coprire le orecchie grandi, in sintonia col naso pronunciato, Lenin mi incuteva un certo reverenziale timore, nonostante il bianco ricamato colletto da giovane educanda.

“Sei proprio un bel bambino, Sergino, serio e di poche parole...” mi diceva, e dolcemente mi acca­rezzava i capelli folti, allora biondi e ondulati.

L’umido della nebbia stampato sul volto inter­ruppe i miei ricordi: presomi con decisione sotto braccio, moglie e cognata mi accompagnarono con passo sicuro fino alla 500, auto d’epoca, in cui entrai con clownesca agilità.

 Alla stazione di Lodi, dove salimmo sul treno, un tiepido sole sorrideva soddisfatto per avere definitivamente messo in fuga la nebbia. Piacenza... Fiorenzuola... Fidenza; un taxi formula uno, targato Monza, forse impegnato per la pole-position, velocemen­te ci portò a Roncole Verdi.

Nella casa di Guareschi incontrammo la simpati­cissima Carlotta, “Pasionaria”, che, sistemate alcune faccende scolastiche con mia cognata, docente di italiano e storia nelle scuole medie e che di Giovannino conosce vita e opere, si mise a nostra completa disposizione, sebbene tormenta­ta da una noiosa tosse, frutto di stagione.

 

 La mostra, di notevole interesse per la ricchezza e la qualità del materiale letterario e storico amore­volmente raccolto, è allestita nella ex-sala da pranzo del vecchio ristorante, dal bel soffitto con travi di legno. Originali lampadari, fatti con pezzi di moto, cinghie e fanali e strani oggetti, adibiti a vari scopi, attirarono la nostra attenzione a causa della singolare maniera in cui erano utilizzati.

Abbiamo vissuto una meravigliosa esperienza, un tuffo salutare nel passato, un rivivere intense emozioni, un ritrovare valori perduti in un vero e proprio godimento spirituale per la attualità di idee, presentate con saggio umorismo da un uomo, Giovannino Guareschi, che costantemente nutrì profondo rispetto per la dignità umana, amò la libertà e la tolleranza e sentì irresistibile e conta­giante il bisogno di pensare con la propria testa. Al piano superiore, abbiamo conosciuto il cordia­le Alberto, già informato del nostro arrivo.

“Io, invece, vengo da Sestri Levante....”, dissi a modo di presentazione,” “..più precisamente dal­l’antico borgo di Riva Trigoso”

Con visibile sorpresa e non poca meraviglia, Alberto guardò la sorella.

“Hai sentito, Carlotta, Riva Trigoso. Nostro non­no, Primo Augusto, lavorò nelle trafilerie di Casarza Ligure durante la grande guerra, come “operaio-militare” e svolgeva anche un singolare servizio bellico a Riva Trigoso, dove nonna Lina, anche in anni successivi alla fine delle ostilità, durante il periodo estivo, alloggiò presso una certa signora... Castagnola Lina .. meglio cono­sciuta come... come... Lenin. Anche mio padre, da piccolo, soggiornò a Riva Trigoso, in casa di Lenin.”

Da archivi pieni zeppi di prezioso materiale, ordinato con meticolosa cura, Alberto estrasse numerosi raccoglitori datati, contenenti, tra l’al­tro, antiche cartoline-postali con sopra stampato “Riva Trigoso”, scritte dalla Lenin. In una del 28 giugno,1913 ho letto: “PS. Volevo mettere alla presente un francobollo da 10 e spedirla così, ma mi dicono che non posso perché ho scritto dove appunto dovevo mettere il francobollo. Baci. Lenin”.

Senza dubbio alcuno il suggerimento e i timbri erano opera di mio nonno Celestino e di Felisin, il vecchio postino. Altre cartoline erano firmate da Filomena, Nino e Lina, madre di Giovannino. Tra le varie carte vi era una bella foto della Lenin e, sul retro, “In segno d’affetto l’affezionatissima e obbligatissima Lenin all’amatissima Signora Filomena”; commovente per me una foto del varo della nave Torino, in data 28 giugno 1913. Inol­tre, vedemmo una fotografia della processione per il cinquantesimo anniversario della festa della Madonna del Buon Viaggio, 19 agosto 1913, con ben nove semplici croci, in via Colombo, vicino alla spiaggia, segnalata a penna dalla Lenin.

Con squisita gentilezza Alberto ha fotocopiato per noi questo materiale oltre ad un documento del 21 novembre 1918, rilasciato a suo nonno Primo Augusto Guareschi, “operaio-militare”, dal direttore tecnico delle Trafilerie e Laminatoi di Metalli di Casarza Ligure, Stabilimento Ausiliario, quale “attestato di stima per l’opera svolta alla conduzione e sorveglianza delle nostre calda­ie a vapore fisse della ditta Franco Tosi di Legnano, tipo Cornovaglia...”.

Senza provare il minimo imbarazzo per i miei occhi umidi più del solito, liberatomi in qualche modo dal nodo che, stringendomi la gola, mi impediva di parlare, raccontai quanto a mia cono­scenza di quei tempi lontani.

Ancora una volta e a modo suo, Giovannino Guareschi era riuscito a commuoverci e a farci riflettere.

 

Post-scriptum.

 

A ricordo di questi eventi felici, alla presenza dei figli di Giovannino, Carlotta ed Alberto, con la partecipazione di una folla entusiasta, domenica 8 agosto del 1999, una ceramica, opera  dello scultore Alfredo Gioventù di Sestri Levante è stata collocata sulla facciata della canonica della Chiesa di Santa Sabina, a Trigoso, a cura della locale ACLI, diretta dal “mitico” Marco Bo, intelligente e dinamico organizzatore. Inoltre, nel celebre presepio locale, sono state aggiunte due artistiche statuette dello scultore Fulvio Venturi, con vestiti di ineguagliabile bellezza della Signora Gandini Gioconda, raffiguranti Giovannino Guareschi, bambino, e Lina Castagnola, dettaLenin. 

Il testo della  targa, opera di “Anonimo”, recita:

 

OSPITE

IN QUESTA CANONICA CON

I GENITORI E LA NONNA PRESSO LA

PERPETUA ELENA CASTAGNOLA DETTA LENIN

GIOVANNINO GUARESCHI

NEGLI ANNI 1912 E 1913 CAMMINO’ FANCIULLO

NEGLI STRETTI VICOLI DELLO

ANTICO  BORGO DI TRIGOSO”