Mai più al mare

Enzo Brizio


Già da lontano, abbassando il finestrino dell'auto, vedeva la spiaggia sottostante brulicante di insetti colorati che si agitavano, correndo in tutte le direzioni e portando con sé un po' di cibo. Scese e si avvicinò, e vide che erano in realtà esseri umani seminudi, con una sdraio sotto il braccio o con un ombrellone sulle spalle, che avanzavano affondando nella sabbia, alcuni urlando ai piccoli, altri preceduti da donne enormi o magrissime che impartivano ordini e distribuivano sorrisi.
Le mogli erano già sedute all'ombra o al sole, ungevano schiene, leggevano Novella 2000, fumavano, leccavano ghiaccioli, parlavano con la vicina di ombrellone criticando seni gonfiati con una punta di invidia.
I bambini spruzzavano acqua da pistole di plastica, costruivano condomini di sabbia, trascinavano per i piedi un compagna per costruire con il sedere percorsi di gara per biglie di plastica trasparenti, correvano su cadaveri artrosici insabbiati, raccoglievano ciottoli colorati nei loro piccoli secchielli.
Lui avanzava lentamente, e per il timore di apparire un guardone in un campo di nudisti si spogliò quasi completamente, rimanendo in boxer a pallini blu, il giornale piegato sotto l'ascella per un orgoglio intellettuale, gli occhiali da sole a specchio, come aveva visto fare da Christian De Sica in alcuni film culturali dell'estate.
Appena sceso dall'impiantito delle docce comprese le sensazioni che dovette aver provato Mino Damato sui carboni ardenti: un urlo strozzato (non voleva dare nell'occhio ed essere considerato un paria), e proseguì imperterrito, a fronte alta e sudata, sotto un sole sahariano, con le piante in fiamme. Mille aghi roventi si conficcavano nelle sue carni tenere da automobilista fanatico, e si rese conto di essere lentamente ma inesorabilmente divorato da zanzare e mosche affamate da settimane di digiuno e stanche delle solite vene tedesche piene di alcoolici.
Gli ultimi metri li percorse quasi correndo, simulando un sorriso e gettando sul bagnasciuga i vestiti sudati e stropicciati dagli spasmi silenziosi. Si tuffò con uno stile pietoso, sperando che il fondo fosse morbida sabbia.
Era pietrisco affilato, taglientissimo, ma accolse il nuovo dolore quasi con liberazione, mentre il sangue si disperdeva immediatamente nell'onda di risacca. Gli sembrò di rinascere, come quando ti alzi dalla poltrona del dentista, e si preparò al godimento più totale.
Andò subito sotto, felice, e riemerse sorridente, nonostante la perdita di una delle lenti a contatto, rendendosi conto per la prima volta nella vita che la sua coscia destra, probabilmente per cause genetiche, attirava inesorabilmente le meduse.
Tentò comunque di chiamare la moglie rimasta sulla spiaggia, ma non fu in grado di gridare, occupato com'era a degustare lo stronzo galleggiante che, rapido, gli si era infilato in bocca nell'istante in cui, incautamente, aveva provato ad urlare a pelo d'acqua. Lo deglutì istintivamente con il rimpianto di non sapere a chi fosse appartenuto, ed uscì con un'espressione stupida, un po' tragica, leggermente disperata.
Nessuno vide le lacrime che gli scendevano sulle bolle delle guance ustionate, ma qualcuno, osservandolo andare via, lo sentì promettere sottovoce " Mai più al mare! ".