Malindi e la stagione delle piogge

 

Camillo Vittici

 

 

 

Prendi due cartoline, confrontale… E sì che ci vedi lo stesso posto, lo stesso panorama, lo stesso mare… Eppure non le riconosci, fatichi a capire come lo scatto del fotografo abbia rubato la stessa inquadratura, ma il quadro sembra implacabilmente mutato. Foto gemelle quindi, ma con vestito diverso.

Già le strade sono diverse; i “tuc tuc” scorrazzano più piano, senza fretta alla ricerca di improbabili clienti, gracchiando di tanto in tanto il loro clackson per sentirsi ancora vivi, per perdersi nell’illusione remota di servire ancora a transiti  nervosi e zigzaganti avvolti dal rumore assordante e fastidioso del loro motore.

Gli onnipresenti ciclisti dei “boda boda” spingono con noia malcelata i pedali alla ricerca del nulla o di nessuno. Il giorno lo devono pur passare e il carburante delle gambe non costa più di tanto. Scampanellano solo quando stancamente mi superano; il turista solitario potrebbe rappresentare un potenziale cliente, ma purtroppo cascano male, quasi tutti i residenti sono muniti di auto propria. La speranza di cento scellini naufraga sulla strada d’asfalto interrotta dai “bumps” fastidiosi che mettono a dura prova le già scassate balestre delle auto che corrono rigorosamente sulla sinistra (atavica impronta inglese) verso il caffè del Karen Blixen o l’aperitivo del “Bar Bar” per affogare il tempo che a Malindi arranca faticosamente verso la sera sempre troppo lunga.

E lì ritrovi gli “aficionados” del posto, coloro che hanno eletto Malindi ad usuale dimora e che, nel bene o nel male, nel sole e con la pioggia, non rinuncerebbero per tutto l’oro del mondo a riempirsi del profumo del suo mare, agli incontri quotidiani, al cicaleccio su tutti perchè tutti qui si conoscono, al lavoro che qui hanno iniziato e incentivato.

E ti ritrovi Ugo, l’enciclopedia vivente che tutto sa di Malindi e del Kenya, Eddy, il deus ex machina del safari con le sue Land Rover grintose ed enormi, Walter, il ristoratore folle e schizzato ma dalla cucina superba e cuochi straordinari, Morgan, lo strano gestore del Fermento, il più gettonato night della Piazzetta, Vincenzo, che ti fabbrica scarpe di vitello seduta stante dopo averti preso l’impronta del piede su un giornale, Macrì, il console che tutto fa e tutto risolve, Beppe, il capitano di lungo corso che qui finalmente ha trovato il suo ultimo stabile porto e tanta altra umanità che in un attimo conosci e in un attimo  accetti come da sempre conosciuta e senti amica.

Se poi getti un’occhiata ai negozi li trovi penosamente vuoti, senza il cicaleccio delle immutate, estenuanti contrattazioni e con i commessi seduti al limitare della porta in dubbia attesa dell’acquirente venuto fin quaggiù dall’altra metà dell’emisfero alla spasmodica ricerca del più originale souvenir che poi tanto originale non sarà mai poichè te lo ritrovi ad ogni passo in strada, sulla spiaggia.o nelle basse costruzioni del nuovo Curio, il Malindi Tourist Market dove mille mani insistono a trascinarti fra oggetti di legno e di saponaria partorite dalle abili mani degli artigiani locali.

Dove l’atmosfera si fa tuttavia più rarefatta è al Karen Blixen dove, fino a un paio di mesi fa’, avvertivi quell’accattivante profumo del caffè espresso, il tintinnare allegro delle tazze e il vivace vociare delle signore intente al burraco. Fra i tavoli semi deserti si trascina Oscar con gli occhi gonfi da una serata finita sempre troppo tardi.

E i crocchi delle donnine davanti allo Star Dust? Dov’è volato lo sciame delle ragazze che ti salutavano con la parola amore, ti promettevano amore, ti vendevano amore?

E non racconto poi come al ristorante si è coccolati e vezzeggiati. Un paio di tavoli attivi e i camerieri sono tutti per te. Al Baby Marrow ritrovi come sempre la musica velluta di sottofondo, conversari sottovoce e la sera langue chiacchierando e divagando sulla prossima estate, sulle future resse e strade nuovamente affollate. Simone dello Stephanie si lancia in filosofiche elucubrazioni stimolate da qualche grappino di troppo.

Nel frattempo, da una piscine di non so dove, si leva l’assordante, monotono, fastidioso e sgraziato lamento della rana toro.

Ma dove la stagione vuota la puoi fotografare nella più estrema crudeltà è al Casinò.

Sparuti clienti, spinti più dal desiderio di riempire la solitudine delle ore del giorno e della sera che, alla ricerca dell’improbabile botto di fortuna, si aggirano attorno ai pochi tavoli aperti, ghignanti sirene dalle mille fatue promesse. Eppure qualche ticchettio si ode dalle slots machines dalle luci nervose e accattivanti. Poche signore e un paio di individui maturi, che han scelto di continuare la loro vita a Malindi nella stagione delle piogge, li trovi. Sbadiglia il Casinò rivangando i tempi della ressa, l’esortazione del “rien ne va plus” del croupier, gli urli gioiosi della vincita al Bingo, la coltre delle infinite sigarette che ristagna nell’atmosfera surreale della sala. È un girone fatto di illusioni, di speranze troppe volte tradite, di assurde motivazioni di trovare nuova ricchezza che il fato, quasi sempre beffardo, è pronto crudelmente a negarti ghignando dell’altrui ingenuità. Poi, verso sera, la sala si rianima di giocatori spuntati dal nulla. Le roulettes ricominciano a girare, le slots ad occhieggiare e la fontana del ristorante canta monotone canzoni ai commensali che discutono sereni sempre delle stesse cose.

Che fai allora per portare i tuoi passi verso angoli diversi e vestire la noia di nuovi orizzonti? Malindi è anche e soprattutto mare, quel mare di risacca che più volte al giorno litiga nervoso per superare le tre barriere coralline per poi ritirarsi in un via vai sempre uguale su una strada da millenni stabilita e monotonamente ripercorsa.

Lasci la Casuarina e ti inoltri nei trecento metri di boungavillee ormai sfiorite e in attesa di sorgere a nuova vita dai mille colori e di alberi d’un verde intenso che le piogge della stagione di giugno hanno nutrito in nuovo esplosivo vigore.

La spiaggia! La famosa, fantastica spiaggia di Malindi immortalata dalle cartoline, dalle foto, dai depliants di agenzia.

Eccola accanto a me, davanti a me in tutto il suo splendore immacolato. È stranamente senza alghe come se l’onda nervosa le avesse annegate per sempre, come se le avesse celate nel fondo dell’Oceano Indiano, come se temessero di sporcare la luce candida della sabbia.

Poi volgi lo sguardo in direzione del Vasco de Gama e trovi il deserto. E più non trovi, non vedi la processione dei turisti che lacerano il bagnasciuga, che firmano la rena bianca con i sandali o a piedi nudi. E più non trovi, non vedi lo sciame dei beach boys che, a mo’ di zanzare importune e fameliche, inseguono il turista mostrando il pareo, conchiglie e statue di legno che abili mani hanno scolpito per gente lontana e curiosa e agognante di testimoniare col prezioso souvenir la vacanza esotica e ammantata di sole equatoriale.

Cammini sulla sabbia e hai l’impressione esatta di essere un emulo del primo esploratore della luna; le impronte che lasci sono solamente le tue, vaghe reminiscenze di quelle che furono le spiagge inviolate di Robinson Crosue.

Lontano, molto più avanti di te, un ragazzotto cammina verso chissà dove, forse assorto in pensieri ancor vivi della passata stagione, rimuginando futuri business di statue di legno, di parei colorati e di stelle marine

Dov’è, dove se n’è andata la gente dell’Withe Elephant con la sua piscina sul mare? Che ne è della Rosada con i suoi lettini sotto il palmeto, i coscinoni colorati e la sua musica New Age? E non trovi nemmeno i turisti del Coral Key sguazzanti nelle sue tante piscine, che si abbuffano d’aragosta e gamberoni jumbo alla Terrazza e che s’affacciano a gioire del riverbero del tramonto dal quartierino arabo che dà sulla spiaggia.

E tutti i ragazzi vocianti che rincorrono freneticamente un pallone nel pratone davanti al mare del mercato del legno? Nessuno più rincorre quel pallone. Solo il silenzio gioca col mare.

Ombre di un passato recente che s’è smorzato di botto, come d’incanto; un breack annunciato ai primi passi della stagione delle piogge. Quasi una magica interruzione del pulsare del sangue in un’arteria, un’extrasistole di un cuore bradicardico, un volo d’uccello che plana immobile sulle ali.

Si vive nell’attesa della nuova stagione, nel risveglio di una vita in momentanea catalessi, che tuttavia, quasi d’incanto, riprenderà a scorrere più di prima, ancor più nuova, ancora più feconda

Il tempo scorre lento come un grande fiume che lambisce sempre le stesse sponde e i giorni si rincorrono sempre uguali senza sapere quale giorno della settimana si stia vivendo. Un esempio occorso a chi scrive? Si è presentato all’aeroporto di Malindi il giorno precedente della partenza fissata per dover poi tornare sui suoi passi e godere altre ventiquattro ore felicemente ritrovate.

Poi, d’un tratto, mentre ancora sei vestito di sole, l’ombra nera di una gigantesca ala ricopre il mare, le case, il bush. Dapprima con tichettio dolce che accarezza il makuti e subito dopo con la violenza d’una cascata furiosa che solo qui ti è dato conoscere.  Gli uccelli han fermato il loro canto, il prato gioisce memore dell’atavica sete, i giunchi nervosi del bambù danzano furiosi e impotenti a contrastare l’impeto dell’aria calda che via via si fa più prepotente. Le alte palme da cocco, i possenti ficus, le bungavillee ormai spoglie di colori, i frangipane vestiti di fiori si inchinano al vento severo che annuncia l’aprirsi della diga del cielo. La gente, come formicaio impazzito, corre verso un tetto o dovunque possa avere riparo.

Scende ormai a secchiate, inonda, ghermisce, schiaffeggia, sconvolge e si riappropria di strade e sentieri.

E poi si riposa, si ritrae, abbandona la preda permettendo nuovi spazi ancora una volta al sole che in un impeto improvviso di reazione estrema si prende prepotentemente la rivincita per morire di nuovo soffocato dopo pochi minuti.

Il vento furioso che da sud spazza la spiaggia violenta gli alberi che s’inchinano e si rialzano indomiti mentre i nidi degli uccelli tessitori sembrano pendoli impazziti in una danza scomposta. e selvaggia.

Nonostante questo la città si adagia nella sua vita usuale, senza scosse né news che scombinino l’evolversi sempre eguale dei suoi giorni, sonnecchiando stancamente in faccia al mare e sbadigliando al sole e alle nuvole grigie.

Questa è la stagione delle piogge a Malindi, una stagione magica, una stagione da vivere almeno una volta, una stagione decisamente da amare.