I ragazzi di Luisa

Camillo Vittici


 Una figura minuta, capelli lunghi, biondi tendenti al ricciolo e due occhiali da cui traspaiono due occhi vispi che sembrano scrutarti dentro.

Un paio d’anni fa’ è venuta in vacanza a Malindi, la perla turistica del Kenia. Doveva rappresentare il premio di tanti anni di lavoro di infermiera in sala operatoria del San Raffaele di Milano.

Qui siamo sotto l’equatore, al di là del nostro emisfero, dove il caldo è davvero caldo, il sole picchia forte come un martello in testa e le zanzare ti fanno la corte per regalarti una buona fetta di malaria.

Quindici giorni di riposo, di sole, di mare, di svago nel complesso del Coral Key, di passeggiate fra i mercatini delle statue di legno o degli artigianali monili dei Masai, di una modesta puntata al Casinò e di una breve trasferta oltre il bush, nella savana, nel campo tendato per riportarsi poi a casa le immagini del leone, della gazzella, dello gnù, del coccodrillo o della giraffa.

Fuori dai complessi turistici, in posti appartati, vengono ammucchiati i rifiuti della cucina. Luisa nota che alcuni ragazzini stanno rovistando… Qualche fetta di pane, mezzo mango, pezzi d’aragosta, brandelli di pesce…

Sono loro, i ragazzi di Malindi. Un pasto, questo pasto, ogni tre giorni e una fame infinita, atavica, antropologica.

Luisa li avvicina, vince a poco a poco la loro diffidenza e si fa raccontare le loro storie. Storie di abbandono, di violenze familiari, di senza famiglia, di malattie (malaria, vermi, dermatosi, broncopatie, parassitosi…).

Quasi senza accorgersene avverte impellente il bisogno di diventare la loro mamma (di figli in Italia ne ha già quattro, già accasati). Si mette in moto con la forza di un trattore che ha rotto qualsiasi freno.

Riesce a trovare un terreno dalle parti di Vatamu, lo recinge, risistema quelle quattro baracche che sembrano crollare al minimo soffio di vento e, giorno dopo giorno, vi porta i suoi nuovi “figli” per una sistemazione più decorosa, più accogliente, più calorosa. Vuol regalare loro una nuova famiglia, insomma. Ora è arrivata ad ospitare 31 orfani.

La vado a trovare. I bambini e i ragazzi mi guardano con i loro occhi grandi e neri, con un sorriso che spara un bianco esagerato e mi danno la mano. Stringono forte la mia.

Da una parte le camerette dei maschi e dall’altra quella delle femminucce. Una cucina, il deposito dei viveri, il recinto delle galline (come son preziose quelle uova!) e dei conigli, i tavoli per lo studio (tutti vanno alla scuola locale ad un paio di chilometri, ovviamente a piedi), un paio di gabinetti e l’orticello dove stanno spuntando a fatica le piantine di pomodoro. Tutto attorno piante di mango, di eucalipto e alcuni baobab.

Questa è la loro casa.

A Natale, quando i 40 gradi cuocciono la testa e la scuola chiude, li lascia liberi, lascia che trascorrano le festività con i loro parenti, se ne hanno ancora.

Uno di loro, dopo due giorni, s’è fatto a piedi i 20 chilometri che separa Vatamu da Malindi. “Che fai qui?” gli chiede Luisa. “Volevo tornare a casa…”. Già, qui ha trovato la sua casa, la sua famiglia, il calore d’un sorriso e il miracolo di un paio di piatti al giorno.

“Tutto questo lo tiro avanti con la mia pensione che mi giunge dall’Italia” mi dice. Ma i soldi non bastano mai…

La scuola la paghi, il medico lo paghi, i cibi li paghi…

D’accordo, rispetto alla nostra, la vita da queste parti costa poco. Un lavoratore guadagna in media due euro al giorno, ma questi bambini han sempre bisogno di qualcosa.

Le medicine e il dottore hanno un costo abnorme, la divisa della scuola è obbligatoria, ma non gratuita, la penna biro è un lusso non comune…

Eppure Luisa, testarda e meravigliosa, non si da per vinta. Qualcuno, quando conosce questa donna e quello che ha realizzato, le da una mano e allora il suo viso si illumina d’un sorriso radioso e sa che i suoi ragazzi hanno ancora, per ancora qualche tempo, la possibilità di rimanere assieme, di mangiare, di studiare, di essere ancora vivi!

Saluto questa donna minuta, mi allontano verso la città e mi sento piccolo, inutile, cieco, troppo lontano dal quel piccolo mondo fatto di amore, di amicizia, di solidarietà, di missione, di carità, di abnegazione.

Ritornerò in questo piccolo paradiso, mi siederò di nuovo fra i ragazzi e ammirerò di nuovo quanto, seppure piccola, Luisa è davvero grande!