La mia prima volta in Savanai
(Ironia)
(Camillo Vittici)
Il mio amico Filippo, che
l’anno scorso e’ stato a Malindi sull’oceano indigeno, mi ha detto che era
inutile andare in Kenia per vedere le spiagge. Tanto valeva andare a Igea Marina
dove andavo ogni anno nella Pensione Mariuccia che era sicuramente piu’ vicina e
che si poteva andare con la 500. In Africa bisogna andare a vedere le bestie
feroci che girano libere non come al Parco delle Cornelle di Bergamo che sono
dietro le gabbie e nemmeno come all’Acquasplasc di Riccione dove le bestie non
mancano, ma sono umane. Ed e’ proprio per quello che mi sono deciso a venire in
Africa con la macchina per fare le foto da far vedere agli amici del Bar
Giuditta e farli crepare di invidia. Qui avrei potuto vedere di tutto, dai
trichechi alle foche sulle rive dei fiumi, dalle tigri della Magnesia ai famosi
pinguini del Kenia. Prima di partire sono andato all’Istituto di Igiene e
Profilattici per farmi fare la vaccinazione antititanic perche’ non si sa mai se
fossi stato morso da uno di quegli animali li’. Non so se, per proteggere i
turisti, hanno fatto l’antiarabica a tutte quelle bestie. Curarsi e’ bene, ma
pervenire e’ meglio. In previsone di questi pericoli ho convinto la mia Teresa a
non venire perche’ sono viaggi per uomini duri. Anche se lei, che e’ sempre
spiritosa, mi ha chiesto cosa io potessi avere di duro perche’ di duro era un
bel po’ che non trovava niente. Comunque era meglio che lei e sua sorella
Evelina andassero ancora a Igea che li, al massimo, potevano essere assalite
dalle zanzare o dai ricci di mare, ma non era la stessa cosa venire assaliti
dalle gazzelle della savana, dai serpenti boia o dai camaleonti africani.
Stamattina hanno bussato presto alla porta della mia camera del Villaggio di
Malindi. Ore 5 sveglia, ore 5,30 colazione, ore 6 partenza con la Land Rovere.
Ma io ero gia’ sveglio alle tre per l’emozione e perche’ la sera avevo bevuto
mezzo litro di keniacaffe’ che e’ nero come quello del Bar Giuditta, ma e’ lungo
come la fame. Per puro caso avevo anche incontrato una bellissima ragazza nera
che deve aver studiato, come mi sembra di aver capito, dalle Suore Orsoline di
Montebasa, mica come le altre che erano li’ solo per darla via. Infatti, dopo
averla portata in camera mia, ho avuto la conferma che era molto religiosa
perche’ nel momento piu’ caldo continuava a ripetere “Dio mio, Dio mio!”. Siamo
in cinque. Io, il mio amico bresciano, l’altro siciliano e due sposini novelli
probabilmente in viaggio di nozze. Lo si capisce dalle fedi sberluccicanti che
hanno al dito. Fa un freddo africano che non ti dico a quest’ora! Comunque mi
sono equipaggiato a dovere. Casco da esploratore, mutandoni di lana fino alle
caviglie, canottiera di cotone pesante a maniche lunghe, pantaloni a zampa di
elefante tanto per essere in tema, giubbotto di tela impermeabile con 32 tasche
e scarponi che di solito uso quando il sabato e la domenica faccio l’escursione
sulle prealpi bergamasche. Qui pero’ le escursioni sono completamente diverse
tant’e’ vero che i locali aborigeni le chiamano escursioni termiche per via del
fatto che il posto e’ molto infestato dalle termiti. Alla guida c’e’ un
extracomunitario nero locale e, come assistente-accompagnatore-guida un altro
dello stesso colore di pelle. Pensavo che fino al Parco Schiavo ci fosse
l’autostrada; magari all’Autogrillo verso le otto avremmo potuto fare una sosta
per un caffe’ espresso con un bombolone alla crema. Invece no. Subito dopo
Malindi ci siamo beccati uno stradone polveroso con delle buche cosi’ profonde
che pensavo le avessero scavate apposta per cercare il petrolio.
Sono gia’ due ore che rimbalziamo sui sedili come palline da ping pong. Il culo
ormai e’ diventato cosi’ piatto che piu’ piatto non si puo’. Il siciliano dice
“Minchia, che e’? Come le montagne russe alla Festa de Santa Rosalia di Palemmo!”.
Il bresciano dice che e’ abituato perche’ a Bagolino certe mulattiere sono piu’
o meno cosi’. Gli sposini si tengono per mano e ogni tanto lanciano nell’aria
qualche lamento, non si sa se per la paura o per gioiose espressioni d’amore.
Aspettate di essere sposati da un sacco di anni con la mia Teresa e vedrete che
espressioni vi tirerete dietro. Comunque abbiamo passato Ganda, paesino
probabilmente fondato da bergamaschi poiche’ uno con lo stesso nome c’e’ anche
vicino a Selvino in Val Seriana. Poi abbiamo attraversato Kecoioni, dal nome
dell’espressione dei turisti gia’ provati e torturati dalle buche della strada e
poi Kacconeni che evidentemente ha preso il nome dalla caccole che ornano i nasi
dei bambini che spuntano da ogni buco per urlarci caramelle, penna, cappello.
Poco piu’ avanti la terra cambia colore ogni 100 metri. A volte e’ grigia al
naturale e a volte di un rosso scuro dove il Ministero del Turismo del Kenia
deve aver fatto cospargere della pittura dello stesso colore per far venire
meglio le foto ai turisti. Dopo due ore l’assistente-accompagnatore-guida ci
dice che da li’ in poi non abita piu’ nessuno perche’ le bestie feroci
potrebbero essere arrivate fino li’. Comunque, ogni tanto, ci attraversa la
strada qualche ragazzino che accompagna al pascolo capre e mucche. Il bresciano,
che sta sonnecchiando perche’ la sera prima aveva fatto tardi in una balera
sulla spiaggia della Rossata, si sveglia di colpo alla frenata dell’autista per
non tirare sotto qualche vitello. Mi dice che per lui quelle non sono bestie
feroci perche’ su a Bagolino ne vede un sacco tutti i giorni. L’assistente-accompagnatore-guida
gli dice che magari quelle possono essere vicine. Magari le bestie feroci
saranno allergiche alle capre e alle mucche perche’ di capre, mucche e ragazzini
non ne abbiamo visti sbranati nessuno.
Dopo tre ore finalmente arriviamo. Ci aspettano i soliti extracomunitari con in
mano dei bicchieri con del liquido arancione. Lo chiamano cocti di benvenuto.
Sicuramente deve essere stato preparato almeno un paio di ore prima poiche’,
oltre a essere a temperatura ambiente (40 gradi all’ombra), nel mio, stanno
nuotando n.2 mosche, n.1 moscerino della savana, n.8 granelli di sabbia rossa
affogati sul fondo che evidentemente hanno dato il colore al beverone. Sudati e
assetati l’abbiamo ingurgitato di colpo. Neanche al bar della Giuditta del mio
paese ne fanno di cosi’ buoni. L’assistente-accompagnatore-guida ordina ai
facchini di prendere i nostri bagagli e portarli, assieme a noi, nei nostri
alloggi. Tenda verde militare come quelle che usavamo in Val Pusteria quando ero
sotto la naia, branda di ordinanza con lenzuala bianche e coperta marrone (che
abbiano comperato quelli scartati dall’Esercito Italiano?), in fondo, nascosto
da un tendone, water, doccia e lavandino tipo Case Fanfani. Il tutto chiuso da
lunghe cerniere da chiudere ermeticamente la sera per proteggerci da bufali,
orsi, canguri e bestie del genere. Neanche il tempo di lavarci il muso e si
riparte, questa volta, finalmente, per esplorare la savana, insomma quell’Africa
nera che avevamo visto tante volte, proprio in bianco e nero, nei film di Tarzan
al cinema dell’Oratorio del paese.
Ora stiamo percorrendo la pista piano piano. Oddio, non e’ che qui ci sia
l’Africa nera vera e propria; quella vera magari verra’ piu’ tardi poiche’ per
ora e’ decisamente tutta grigia. Terreno grigio, alberi grigi, facce grige dalla
paura del primo contatto col pericolo bestiale. Tutto secco insomma, arido come
il mio orto dietro casa in agosto quando nessuno gli da’ da bere perche’ siamo a
Igea Marina per le vacanze. Possibile che qui a nessuno venga in mente di
innaffiare? Basterebbe qualche springolo di acqua qua, uno la’ e tutto
diventerebbe piu’ verde. Bisogna che scriva al Ministro del Turismo del Kenia.
L’assistente-accompagnatore-guida ci raccomanda di stare in silenzio poiche’ da
ora in avanti avremmo potuto incontrare gli animali della savana. Il guidante e
l’assistente-accompagnatore-guida scrutano l’orizzonte. Uno guarda di qua,
l’altro di la’ e... all’improvviso... Una gazzella! Una gazzella giraffa! Io mi
aspettavo di vedere una specie di incrocio fra una gazzella e una giraffa,
magari tutta marrone e alta sei metri; invece era un cosino, tipo capra della
Val Seriana, che se ne stava li’ tranquilla e placida a brucare quattro foglie
secche di un misero alberello selvatico. Ognuno tira fuori tutto l’armamentario
fotografico e si butta tutto a sinistra accavallandosi uno sull’altro a
riprendere il primo animale africano. Con la mia Canon digitale regalatami di
Giuliano, mio figlio, in occasione del mio 25/o di matrimonio con la Teresa con
relativo corso, sempre dal Giuliano, di due mesi per imparare a usarla, mi metto
in posizione di scatto. Che emozione! E’ a questo punto che capisco il
significato di Africa nera. Infatti nel mirino vedo tutto nero. E’ la sposina
che con una vocina dolce e vellutata mi dice “Permette?” e mi toglie il
coperchio davanti all’obiettivo. Ora si’ che la vedo la gazzella giraffa che,
nel frattempo, deve essersi rotta le palle (Le palle? Ma sara’ una femmina o un
maschio? Sicuramente femmina altrimenti l’assistente-accompagnatore-guida mi
avrebbe detto che era un gazzello) e, scazzata dalla nostra presenza, se ne sta
andando per i fatti suoi. Comunque sono riuscito a fare 18 formidabili scatti
del suo sedere in tutte le pose. Gli altri si passavano soddisfatti le loro
macchine per mostrare le loro riprese. Fra tutti cinque abbiamo scattato piu’ di
120 fotografie alla gazzella giraffa.
Finalmente gli elefanti! Precisi spaccati a quelle del Parco delle Cornelle di
Bergamo. Sicuramente devono essere parenti stretti perche’ hanno le stesse
orecchie, lo stesso naso lungo, gli stessi dentoni bianchi e la stessa coda
piccola. Un bestione cosi’ grande con un codino cosi’ piccolo... Bah! Comunque
sono sotto una pianta e si stanno godendo l’ombra. Chiedo all’assistente-accompagnatore-guida
se li puo’ far spostare almeno per un attimo per fare delle foto come si deve
perche’, all’ombra, non vorrei che venissero scure, ma quello non mi ha cagato
per niente, come se io, noi, non avessimo pagato una bella cifretta per vedere
gli elefanti al sole. Comunque devo tenere presente la cosa per un eventuale
rimborso da parte del Tur Operatore. “Attenti a quando spalancano le orecchie;
vuol dire che si stanno incazzando e magari vogliono caricare” ci dice l’assistente-accompagnatore-guida.
“Ma cosa devono caricare?” rimugino fra me e me... Mica hanno l’orologio o le
batterie... Comunque tre hanno le orecchie spalancate e gli altri quattro
ammosciate. Magari quelli sono ancora carichi. Mah! Fra di loro c’e’ un
elefantino piccolo. Ma come avranno fatto a farlo? Se lo fanno come il toro e la
mucca del mio amico Filippo deve essere proprio difficile. Povera elefanta se si
trova sopra di colpo un bestione di quel genere! Comunque non sono affari miei
e, con le cose del sesso, se la vedano loro. Ad un tratto l’autista ci dice di
stare zitti che stavamo per vedere Cita. Mi immagino di trovare la Cita di
Tarzan, quel scimmione che sapeva sorridere e battere le mani su e giu’ dai rami
della foresta. Invece non e’ altro che una specie di cane macchiato di nero come
i quelli della Carica dei 101 dei cartoni animati di Walter Disni che in suili
si chiama ghepardo. Ancora oggi non ho capito perche’, incontrando altri
pulmini, gli autisti si fermano ogni volta a chiacchierare per dieci minuti.Qui
fanno tutto con calma; non per niente ogni poco ci dicono Polle Polle e acuna
patata. Comunque una teoria me la sono fatta. Sicuramente si scambiano
informazioni sulla moglie, sulla zia, sulle rispettive nonne, i numerosi nipoti
e su tutte le notizie del paese. Ma di leoni niente di niente. Mi dicono che
probabilmente hanno gia’ mangiato e stanno riposando chissa’ dove per fare la
digestione. Per forza! Mangiare carne cruda appesantisce lo stomaco come diceva
sempre la mia nonna Armida. La prossima volta dovremo venire prima del loro
pranzo
Arriviamo al fiume. Mi dicono che li’ dovremmo vedere i coccodrilli e i popotami.
A parte il fatto che il fiume e’ di un giallo-marroncino con variazioni
caccarella, ma vedere li’ dentro i coccodrilli e i popotami che sono marrone
anche loro mi sembra difficile. Invece no; l’assistente-accompagnatore-guida
batte le mani, fa un verso in non so quale lingua e due lucertoloni arrivano
sulla riva. Ci guardano fissamente della serie “E adesso che ci hai chiamati
cosa dobbiamo fare?” poi spalancano quelle boccacce ebormi, mostrano una
dentatura piu’ bianca e regolare di quella della dentiera di mia nonna Armida e
si piantano li’ fermi, immobili, ma cosi’ immobili che ad un certo punto penso
siano di plastica messi li’ apposta per i turisti del Parco Schiavo. “Chiboco!”
ci urla il nostro assistente-accompagnatore-guida. “Chi abbocca?” gli chiede il
bresciano. “Il popotamo!” ribatte quello. “Ma dove minchia e’?” azzarda il
siciliano in perfetto italiano per farsi capire. “La’; le vedete le orecchie che
escono dall’acqua?”. Infatti due puntini piu’ scuri ci sembra proprio di
vederli. E giu’ a scattare altre cento foto fra tutti cinque. A casa diremo che
quelle erano le orecchie del popotamo, ma che li’ sotto stava al fresco e non
gli fregava niente di vedere i turisti del Parco Schiavo. Il fatto imprevisto
scatta quando la sposina sussurra all’oreccho del maritino “Mi scappa la pipi’.
C’e’ un bagno da queste parti?”. Il maritino “Ma non la puoi tenere? Fra cinque
ore arriviamo al campo”. “No, non ce la faccio piu’, mi sembra di scoppiare”.
Che siano state le otto fette di anguria che le ho visto pappare la sera prima
al ristorante tanto e’ tutto gratis perche’ e’ una vacanza tutta inclusiva? L’assistente-accompagnatore-guida,
che le orecchie le ha buone, deve aver sentito tutto. “Scendi, va dietro il
pulmino e falla li’”. “E il leone?” azzarda lei con un fil di voce vergognandosi
come un ladro colto in fragranza in Chiesa. “Usa il gabinetto tibetano” gli fa
eco l’autista. Ci spiega che in Tibet la toaletta consta di due bastoni. Il
primo, il piu’ lungo, si pianta per terra per appendere eventuali indumenti che
ostacolano la... funzione e il secondo da tenere in mano per allontanare i cani.
Quella, tuttavia, decide di scegliere quello italiano. Schizza dietro il pulmino
mentre il maritino dall’alto dell’apertura superiore scruta ansiosamente
l’orizzonte. Se tutti facessero pipi’ nella savana quella sarebbe decisamente
piu’ verde.
Felici e beati per aver visto gli animali feroci la sera siamo tornati al campo
con le tende dei militari. L’assistente-accompagnatore-guida ci dice che il
Kenia si e’ modernizzato e ora anche li’ i telefonini prendono. Allora decido di
fare una bella sorpresa alla mia Teresa. Tiro fuori il cellulare da una delle 32
tasche del mio giubbotto da esploratore (che fatica a trovarlo! Non il
giubbotto, il cellulare) e, con infinita emozione, faccio il numero della
Teresa. Chissa’ come sara’ contenta a far sentire a tutti a Igea Marina che ha
un marito esploratore safarista che le telefona dal bel mezzo dell’Africa nera!
“Pronto! Sei tu Teresa?”. “No, sono la Regina d’Inghilterra! Ma con chi credi di
parlare pirlone che non sei altro se hai fatto il mio numero?”. “Sono arrivato
al campo!”. “Stai giocando al calcio? Alla tua eta’? Sta attento a non fregarti
una caviglia! Se poi prendi una storta sono io che ti devo curare e sopportare”.
“Ma cos’hai capito? Sono in un campo!”. “Senti imbranato; in che cavolo di campo
sei andato a finire? Ma se mi hai detto che volevi andare in Africa...”.
“Infatti, sono qui in un campo vicino al fiume”. “Cosa stai pescando?”. “Ci sono
i coccodrilli e i popotami”. “Allora metti una lenza molto grossa perche’ non
sara’ tanto facile tirarli su. Comunque ti devo lasciare perche’ qui in Italia
e’ martedi’ e fra poco ci sono le lasagne che mi piacciono tanto e non voglio
che me le freghino gli altri. Ciao e buona pesca. Ah, dimenticavo; se magari
peschi anche delle trote portane a casa una che la facciamo al forno”. Clic!
Come se le avessi telefonato dalla Val Imagna...
Per noi hanno preparato una tavolata mica male. Un bel bicchiere di vino rosso
(da pagare. Ma non era tutto inclusivo? Misteri africani!), minestrone di
fagioli, bistecca di facocero (siccome non sapevo cos’era mi hanno fatto vedere
la fotografia. Da noi lo chiamano semplicemente maiale), dolce della casa
(specie di torta Pasqualina che da noi si fa nella festa di Sant Eustorgio,
patrono del paese) e liquorino (da pagare), ma solo un paio di gocce. Poi tutti
attorno al fuoco. Il siciliano si e’ allungato sulla sedia a sdraio perche’ non
ce la faceva piu’ a stare sveglio. L’emozione di aver fotografato il sedere
della gazzella giraffa, gli elefanti e le orecchie del popotamo l’aveva
stroncato. Ad un tratto esplode con un “Mizzeca che dolore!”. Probabilmente deve
aver preso il mal d’Africa. Aveva inavvertitamente allungato i piedi e la sua
scarpa destra Nike, nuova di pacca per l’occasione, aveva preso fuoco. Poi ha
cacciato un urlo che sembrava quello di Tarzan ed e’ corso come un bolide di
formula uno verso il fiume. Non l’abbiamo piu’ visto rientrare. Qualche
coccodrillo, di quelli veri, deve essersi finalmente sfamato. Il bresciano e’
schizzato in tenda prima che avvenissero altre disgrazie. Poco dopo lo sentiamo
agitarsi e sacramentare perche’ ha scoperto che due pipistrelli hanno preso
alloggio nella sua tenda e non vogliono saperne di uscire nonostante le scarpate
che sta tirando senza beccarne nemmeno uno. I due sposini si erano gia’ ritirati
dopo il liquorino sempre di un paio di gocce. Sono rimasto da solo a guardare il
cielo. Mica sono come le stelle di Igea Marina queste! Sono piu’ grosse e piu’
vicine. L’assistente-accompagnatore-guida mi ha detto di guardare bene perche’
avrei potuto vedere alche la strada lattea. Poi solo il silenzio interrotto dai
rumori e dai versi che vengono dalla savana. Chiedo all’assistente-accompagnatore-guida
se fosse il grido del giaguaro in amore. Mi risponde che non e’ il giaguaro.
Sono semplicemente i due sposini che si stanno godendo... l’Africa.