Il giovane, il moderatore e altri
strani medici
(Libera e folle interpretazione di un fatto
realmente accaduto sulla lista IPPOCRATE di Enzo Brizio a cura di Dino Leonetti)
Il giovane medico entra nella sala, ci sono tantissimi suoi colleghi
seduti su comode sedie messe a formare un enorme cerchio, l'atmosfera che si respira é
quella di una riunione importante.
Uno alla volta parlano, con ordine e a voce chiara, e tutti ascoltano.
Il neofita si sta accomodando quando gli arriva proprio in faccia una frase di Sergio
NAZZI : "Il medico di medicina generale dovrebbe recuperare la missione dello
sciamano: accollarsi il male del paziente, sconfiggerlo dentro di sé e restituire la
salute al sofferente"
L'eco delle parole rimbalza tra le alte e nude pareti della sala e le fa assumere un tono
minaccioso. Il collega fa per pulirsi il volto, sgrana gli occhi e cerca di capire quello
che succede.
"Il medico é l'archetipo dell'eroe che i pazienti non percepiscono più nel medico
scientifico e tecnocratico..." continua NAZZI vestito come uno stregone indiano e con
strani oggetti appesi al collo, tra cui si riconoscono cd e dischetti per computer.
A questo punto ha capito, si parla del rapporto con il paziente.
Dallo stesso lato della sala Fausto MAGGIORI, un anziano collega con folta chioma
bianca-bionda e ondulata che si confonde sulla tunica gialla stile apostolico aggiunge con
pacatezza e un non so che di ieratico, con lo sguardo ceruleo fisso in alto: "Noi
medici dovremmo ricercare un amico in ogni paziente o, sarebbe bello, un fratello. Lo so
é un compito difficile, da metterci in crisi ...".
Affascinato, il giovane ascolta con sempre maggior attenzione e curiosità. Chi invoca un
medico di famiglia sciamano-tecnocratico e chi un medico missionario.
"Ma ti rendi conto, essere amici dei pazienti? Ma sì, qualche volta si percepisce un
sentimento di amicizia, ma non c'é tempo per l'amicizia, occorrerebbe più fragilità,
meno razionalità " protesta Giampiero RAMPONI, con i suoi capelli a spina lucenti e
un'abbronzatura insolitamente spinta per la stagione, con fare sbrigativo e nervoso.
Il giovane ospite viene preso da un entusiasmo irrefrenabile e con slancio infantile
raccoglie coraggio e lancia la sua domandina provocatoria nel mezzo della sala, quasi
fosse una bomba a mano a cui aveva staccato la linguetta: "Vi capita che qualche
amico o fratello vi ricusi senza batter ciglio?"
Si verifica una lenta esplosione di interesse. Avanza piano un mormorio tra i colleghi che
sembra far vibrare tutto in un crescendo di tensione, dominato e ridimensionato dal gesto
lento e minaccioso della mano del Moderatore seduto su una specie di piedistallo al centro
della sala. "Chi è quello?" chiede al suo vicino. "È un medico come gli
altri, ma più potente di tutti: con un gesto dà vita e con un'altro decreta la morte
ideale dei presenti, è la persona super partes".
Ritorna il silenzio, rotto dalla voce stridula di Giuseppe RESSA: "Le amicizie con i
pazienti sono a senso unico, cioè ti fanno cagare sangue e basta. Io non ho pazienti
amici."
Nella sua crudezza il dottor RESSA ha fatto svanire come gettando vento sulla nebulosa
immagine del medico santo-sciamano-tecnocratico e difatti lui appare come uno spiritato
ribelle, dai modi netti e incisivi, che non ammettono vie di mezzo. Il giovane medico si
guarda intorno e osserva attentamente i colleghi mentre parlano, cercando di coglierne le
note caratteriali, ad ascoltare l'ultimo intervenuto si impaurisce davanti a tanta
aggressività e ripensa al suo grappolo di emorroidi e alla frase usata: "ti fanno
cagare sangue". È vero anche per lui e si tocca la regione interglutea.
"Tra medico e paziente ci dovrebbe essere empatia" corregge Loris STUCCHI, un
medico dai modi cortesi, da gentiluomo, nei suoi abiti ottocenteschi con parrucchino
enorme e relativo neo vicino all'ala del naso. Un perfetto medico dell'epoca.
"Un contratto, ciò che ci lega ai pazienti è un contratto che ogni tanto è meglio
chiarire". È Piero RAMPONI che precisa. È un medico concreto, con tanto di
calcolatrice in mano e rotolini di scontrini che l'avvolgono attorno al collo e sulle
spalle, alterna sedute ragioneristiche a sdraiate in spiaggia ad abbronzarsi.
Prende la parola un medico dall'aspetto saggio, con lo sguardo profondo di chi ha vissuto
intensamente ogni incontro con i pazienti e che sa bene regolarsi nelle vicissitudini
giornaliere: è Giorgio LAZZARI, che illustra due illuminanti episodi delle "reali
dinamiche interpersonali", con esito in ricusazione supersonica "in due
nanosecondi.... e senza spiegazione" e aggiunge: "Sono contento delle
ricusazioni...il problema è che i ricusanti scelgono il medico con tendenze
zerbinanti".
Medici stregoni, missionari, tecnici, cinici, empatici, incazzati e, sotto tutti, i medici
striscianti e strisciati.
Stanno emergendo molti aspetti della professione che non conosceva l'inesperto
giovincello, che a questo punto si gode lo spettacolo, incrociando le braccia e volgendo
lo sguardo ora a destra ora a sinistra, come se assistesse ad una gara di tennis.
Giorgio LAZZARI, il medico cortese, fa la proposta a Massimo TOMBESI, illustre luminare
della medicina di base, di scrivere un "bel lavoretto" su questo argomento, un
papiro-libro insomma.
Antonio, seduto vicino a Fausto MAGGIORI, il missionario, ci tiene a chiarire qualcosa.
Antonio sta nell'ombra, è un medico avvolto nel mistero (di lui si conosce solo il nome
di battesimo) e si apprezza solo la sua voce profonda e chiara e un paio di occhi
illuminati che spuntano nel buio che stranamente interessa solo il suo posto in sala:
"Non si può configurare un comportamento standard, il medico di medicina generale
non è solo un tecnico, egli è come il curato di campagna e, come dice Munthe, il dottore
che ha il dono di ispirare fiducia può quasi far
resuscitare i morti."
Ecco perché è seduto vicino a MAGGIORI, anche lui crede in poteri spirituali del
sanitario. Il giovane medico, che oltre a fare il medico di famiglia è anche oncologo, di
pazienti ne ha visti passare al cielo in gran copia, ha un sussulto. Può far resuscitare
i suoi sfortunati morenti, basta saper ispirare fiducia, come il "curato di
campagna". Ricordava una frase simile ("alzati e cammina") ma non riusciva
a focalizzare in quale libro letta.
Prende coraggio e aggiunge alla discussione una sua riflessione: "Sono confuso, a
sentire voi a questo punto devo scegliere se fare il curato di campagna o l'esaurito di
città, intanto ho 1500 pazienti e una media di 3-6 ricusazioni al mese".
Giorgio LAZZARI, il cortese, sistemandosi sulla sedia con un movimento lento ed
autorevole, schiarendosi la voce consiglia: "Una sana e professionale equidistanza
dal paziente, occorre il giusto mezzo".
Sarà il tono profondo della voce sta di fatto che la frase di Giorgio LAZZARI ha sul
giovane medico l'effetto di una massima da tenere bene in mente, lo fa sentire fortunato,
felice di stare tra medici saggi. Estasiato, viene riportato subito alla realtà
dall'ottocentesco Loris STUCCHI, che riferendosi al numero di ricusazioni del ritenuto
pivello, con un sorriso tra il compassionevole e l'altero insinua (il giovane nota un
bieco spostamento di neo perinasale): "Forse dovresti rivedere qualche cosa nel tuo
rapporto con i pazienti"
Perplessità e amarezza del neoentrato in discussione, che tra l'altro sapeva che ciò non
lo riguardava, dal momento che era un massimalista da vari anni nonostante la sua giovane
età e che nell'ambiente veniva considerato un medico di quelli "con le palle"
(anche perché ha sulla scrivania quelle famose palline cinesi antistress). Giorgio
LAZZARI, il saggio, a Loris STUCCHI, il pieno: "Anche chi non ha ricusazioni o non ne
fa potrebbe avere dei problemi?"
Stoccata vincente. Felice dell'intervento, che interpreta a suo favore, il giovane medico
si alza di scatto e grida : "Grazie Giorgio".
Booom, saettttt, ti ammazzzzzz, patatranggggg, ira funestttttaaaaaa
.
Un tuono nell'aria e un fulmine a squarciare l'entusiasmo: "Zitto, sei ammonito, alla
prossima vai fuori!"
Era il Moderatore, Enzo BRIZIO, che livido in volto e con occhi iniettati si era alzato
avvolto nella sua enorme tunica tempestata di ricette preziose dalla sedia-trono e
puntando l'indice di accusa tra fumo che sembrava uscisse dalle narici e un invisibile
raggio perforante che partiva dalla punta del dito indicatore annichilì il poveretto che
aveva osato prendere la parola per un futile ringraziamento.
Raccogliendo quello che di polpettiforme gli era rimasto il giovane si scusa con una
timida occhiata verso il Grancapo e fa cenno ad alzarsi per abbandonare l'aula, quando il
suo vicino, Giorgio LAZZARI, il nobile saggio, lo blocca mettendogli la sua mano
sull'avambraccio, invitandolo con lo sguardo a rimanere. La garbatezza e la decisione di
quel gesto convinse l'inesperto a rimanere.
Cosa era successo? Semplice, LAZZARI si avvicina all'orecchio del giovane e bisbiglia che
non si può parlare tra singoli medici, bisogna rivolgersi a tutti e dire qualcosa che
interessa tutti, altrimenti è legge: tacere.
Come miele a neutralizzare l'amaro lasciato dallo stucchevole STUCCHI e dallo smodato
Moderatore intervengono quindi le riflessioni di Fausto MAGGIORI, il pio:
"Va ricercato un legame intimo che renda quasi indissolubile il nostro rapporto con i
pazienti, che ci ridia la felicità perduta. Per essere un buon medico è necessario saper
consolare, come Madre Teresa di Calcutta che non ha seguito i milionari corsi di
counselling per consolare gli ammalati, raggiungendo felicità e stima, che noi non avremo
mai, nonostante il nostro pomposo sapere".
Il giovane rimane estasiato dalla bellezza di quelle parole, viene avvolto da una luce
calda di pace e capisce perché qualche volta ha pianto, uscendo da una casa di morente,
in uno stato di angoscia spaventosa risolta solo con una preghiera. Ecco un collega che la
pensa come lui. Quel medico, quel Fausto MAGGIORI, dimostra una sensibilità fuori dalla
norma, che veda Cristo in ogni sofferente?
Non così Piero RAMPONI, che sistemandosi i suoi spinosi e gelatinati capelli e agitando i
suoi rotolini della calcolatrice con spietatezza fa sapere: "La santità di Madre
Teresa non c'entra nulla con la tecnica di counselling anche quando si assiste un morente
sono proprio i familiari a chiederci un intervento tecnico e non già consolatorio. Il
momento della morte non viene vissuto più come un evento naturale."
Anche questo è vero. Quante volte anche al giovane inesperto capitava rimanere infognato
in aspetti che nulla avevano a che fare con il suo compito di medico curante del morente,
quanto piuttosto con la voglia di farla finita dei parenti del poveretto.
"A me sembra di essere uno strumento usa e getta" è Mauro BARSOTTI con fare
spiccio, lo chiamano speedy per i suoi interventi telegrafici.
Ancora Loris STUCCHI, l'ottocentesco provvisto di neo, rivolgendosi a LAZZARI, quasi a
farne un fatto personale: "Esistono ricusazioni perfettamente legittime per il
paziente che le opera".
E successivamente aggiunge una "ricetta" di un prete suo conoscente: "Noi
non siamo responsabili di quello che sentiamo ma di quello che facciamo. Ho avuto un senso
di colpa per non riuscire a provare dolore per chi è colpito da malattie e
avversità".
Con questa riflessione il pieno STUCCHI dimostrava un aspetto buono del suo carattere,
sicché al giovane medico non stava più antipatico (potenza delle parole).
Si alza Beppe BELLERI per dire la sua. Trattasi di un medico cattedratico, molto
preparato, che parla sempre al momento giusto e perlopiù aggiungendo alla discussione
elementi di profilo più nobile, più elevato, rispetto alle spicciole questioni di ogni
giorno che attanagliano la maggior parte dei camici bianchi: "Il problema della morte
non è un problema medico. La nostra società tende a negare e occultare il problema
delegandolo alle strutture sanitarie e ai medici. Un tempo si moriva più dignitosamente e
con più calore comunitario. Oggi prevale la tecnicizzazione del morente perché nessuno
vuol farsene carico. Madre Teresa qui non c'entra, non può essere indicata ad esempio ai
medici, anche se la medicina oggi tende ad attribuirsi un potere sulla vita e sulla
morte".
E poi consiglia due strategie di comportamento: "Bisogna negoziare il rapporto con i
pazienti e soddisfare il loro desiderio di coinvolgimento nella gestione della malattia.
Anch'io registro ricusazioni, alcune inspiegabili e altre dovute a deterioramento del
rapporto, soprattutto da chi nutre attese miracolistiche dal medico".
Suggerimenti molto preziosi, il giovane medico vorrebbe prendere nota, non ha da scrivere
e cerca di focalizzare i concetti, queste ultime cose gli sembrano fondamentali. Prova un
senso di piacevole attesa dei vari interventi, quasi un'ansia di apprendere, di sapere,
dimenticando che di esperienza e di studio ne ha fatti anche lui.
"È strano parlare di queste cose, ma il moderatore che dice? Nei miei 22 anni di
convenzione ho creato con i miei assistiti (e non clienti) un rapporto leale e anche di
amicizia, comunque la mia professionalità deve cercare di non essere emotiva. Poi finita
la visita o la consultazione, ritrovano l'amico o il parente". È la volta di
Giovanni VANTAGGI, attempato medico di famiglia, dall'aspetto rassicurante.
Il collega che è seduto a fianco al giovane ospite, Giorgio LAZZARI, il cortese, prende
ancora la parola, rispondendo a diversi colleghi: "Mi rivolgo a STUCCHI, non
meniamocela con il problema delle ricusazioni, perché le variabili che sono in campo
nelle nostre prestazioni sono maggiori e financo non-espresse, rispetto ad esempio ai
professionisti privati. A te BELLERI voglio dire che non farsi pagare non sempre significa
autosqualificarsi, dipende dalle persone. In ogni caso talora preferisco non farmi pagare,
né in bianco né in nero. Eppoi cerco di responsabilizzare i miei pazienti, evidentemente
qualche volta non sono ascoltato a sufficienza. In ogni caso indagare sul perché delle
ricusazioni costa tempo e fatica, è meglio continuare a fare bene il poco che riusciamo a
fare quotidianamente".
Anche questa volta LAZZARI soddisfa il neofita, mentre da lontano si sente la voce
autorevole di Massimo TOMBESI. Egli si presenta con una chioma lunga e ondulata, pizzetto
candido e baffo da medico di altri tempi, venerabile e autorevole: "Scrivere un
libro, caro LAZZARI, è tecnicamente difficile, ci vuole la collaborazione dei pazienti.
Lo studio fatto in UK non è affidabile in Italia. Per quanto riguarda l'amicizia con il
paziente io sono critico, anzi
molto critico. Il paziente cerca nel medico non l'amicizia ma la professionalità. Certo
ci dev'essere empatia e cordialità nel rapporto, ma l'invischiamento col paziente è da
evitare (niente amici o fratelli)".
Gli risponde subito LAZZARI: "Peccato per il libro".
Dall'alto del suo trono interviene il Moderatore, Enzo BRIZIO, che però adesso sembra
essersi fatto piccolo piccolo: "Colgo un garbatissimo rimprovero da Gianni VANTAGGI
("ma il moderatore che dice?"), mi sento obbligato a discolparmi. Lasciar
correre la discussione su argomenti così importanti e coinvolgenti del come viviamo il
rapporto con la malattia e gli ammalati non è sbagliato... se è così chiedo
scusa".
Il giovane medico non capisce, ma come, con lui il Moderatore-Cerbero che aveva trasudato
severità da tutti i pori e che con la metamorfosi in drago infuriato aveva terrorizzato
l'uditorio, il Megamoderatore, colui che sta sul trono (l'intronato), proprio lui, chiede
scusa...? C'era qualcosa che non andava nel suo comportamento o forse aveva capito che con
i neofiti poteva fare il duro, con altri no. Ma poi, soffocando il suo risentimento, il
giovane ricordò le parole del collega vicino di sedia ("il moderatore è un'ottima
persona, non ce l'ha con te, è solo una regola di discussione, hai sbagliato e lui ha il
dovere di fartelo notare, punto e basta").
"Credo che dovremmo guadagnarci giorno per giorno la fiducia del pz e non dare nulla
per scontato poiché il paziente al quale poi gli verrà spiegato che non è stato seguito
bene diventerà un nemico altro che fratello. Caro Fausto MAGGIORI il tuo discorso è
quello di tutti noi medici amareggiati e delusi quando al posto della gratitudine
riceviamo fiele. In ogni caso sostengo che 1500 pazienti da seguire sono troppi e comunque
dovremmo guardare alla mortalità annuale per mille più che alle revoche" ha preso
la parola Salvatore MUSCATELLI, uno che ha l'aria di pensare al sodo, asciutto anche nel
fisico ed essenziale nell'apparire, quasi un militare.
Questa cosa dei mutuati che sono tanti la condivideva anche il giovane medico, visto che
anche lui è un massimalista e che si sente sempre in affanno, schiacciato dallo sforzo di
garantire uno standard assistenziale di qualità alto. Sapeva però che ciò andava contro
l'interesse della maggior parte dei medici di famiglia, che al contrario chiedono sempre
più assistiti.
Giuseppe BELLERI, il cattedratico: "Quando si lascia agli altri la definizione delle
regole della relazione o si accetta passivamente la loro proposta, senza negoziare, ci si
espone a rischi di questo genere , il rischio è anche uno scarico di responsabilità
sulla salute da parte dei pazienti"
"Hai ragione, l'importante come giustamente sostieni è negoziare il tutto
sempre" fa Giorgio LAZZARI il nobile di rimando.
Parla Attilio DALLA VIA, che chiamano "il filosofo" per via del suo aspetto di
pensatore fascinoso: "Ognuno di noi è un essere umano; come si può pensare che il
MMG con problemi personali possa essere sempre e comunque adeguato? Non si potrebbe
qualche volta tornare ad un po' di medicina "disease oriented"? Anche noi medici
dovremmo avere un mmg che si occupasse di noi e che sappia anche, forse , ascoltare le
nostre angosce"
Riprende la parola Giuseppe BELLERI, sciorinando le sue tesi: "Sono d'accordo,
anch'io nutro sospetti su una relazione medico-paziente per forza coinvolgente, che cela
magari un paternalismo di ritorno. Il decantato approccio biopsicosociale (che peraltro
condivido) corre talvolta il rischio di degenerare in un invischiamento improduttivo con
il paziente. La medicina chiede troppo e i medici ci marciano, per allargare il loro
potere. È la medicina dell'invadenza, come definita da Massimo TOMBESI. Anche noi medici
incoraggiamo il cosiddetto perfezionismo medico citato da Callahan. Ben vengano quindi le
ricusazioni frutto della fine della luna di miele tra medico e assistito, che tende a
vedere nel medico la scienza nel suo complesso. Nessun contraccolpo per la propria
autostima quindi."
Accidenti, pensava il giovane medico, qui si entra in argomenti più vasti e complessi.
Bisognerebbe conoscere la storia della medicina, seguirne le varie evoluzioni, fin nelle
viscere dei labirintici paradigmi della burocrazia sanitaria contemporanea. Si arrese e
preferì continuare ad ascoltare.
Piero RAMPONI, l'abbronzato spinoso con la calcolatrice, che dimostrando di amare gli
schemi, la praticità, la concretezza: "Ho una proposta di soluzione:
a) superare la dimensione individuale del nostro lavoro (meno enfasi sul singolo paziente)
b) guardare agli obiettivi sulla popolazione complessiva dei pazienti
c) lavorare in "gruppo vero" e non solo proforma
d) condivisione di responsabilità fra professionisti
e) maggior riconoscimento economico
f) meno tempo in ambulatorio, più tempo allo studio"
E poi aggiunge: "che ne dite? Sarà solo utopia?"
Certo il programmino è niente male, ma il mormorio della sala fece intendere che si
trattava di sogni ad occhi aperti, questa volta il concreto RAMPONI si era fatto un
autogol.
Mauro BARSOTTI , speedy, il collega che di getto aveva lanciato una riflessione del tipo
"per i pazienti siamo usa e getta" ritorna sul tema della metamorfosi dei
pazienti da fraterni a nemici: "Non è necessario che gli venga "spiegato"
da qualcuno se hai sbagliato nel tuo lavoro; basta solo che gli venga detto da qualcuno
che ha una qualsiasi *veste* per poterlo dire, non importa se a torto o a ragione".
Per questo tipo di osservazioni il collega è noto anche come il "tiramigiù"
del dopo caffè. Invece Francesco DEL ZOTTI, un altro dotto, a Giuseppe BELLERI, il
cattedratico: "No caro Beppe , qui non ti seguo .Il modello biopsicosociale (BPS) non
è uguale al *vogliamoci bene* ; è semplicemente una videocamera a grandangolo di quel
che capita al paziente, al fine di individuare la giusta direzione ed il giusto attore del
cambiamento. Come al solito ognuno dei modelli può avere un suo specifico campo di
utilizzo. Con i derelitti - ad esempio - non è sufficiente usare il modello il BPS : o ti
coinvolgi o li ricusi (almeno *mentalmente*)".
"Per la questione dei certificati e delle recusazioni, bisogna aumentare il livello
di comunicazione e non di delazione tra colleghi" Marco CANFORA, detto il semplice,
torna su un argomento spinoso, il sordomutismo istituzionale tra colleghi.
A questo punto Paolo SCHIANCHI, che ha la passione per la ricerca e le statistiche e le
pubblicazioni, insomma per tutto quello che non è piattismo: "Quello di studiare le
revoche è stato un mio pallino, condiviso da molti amici, fino a qualche tempo fa. Lo
sarebbe ancora, ma purtroppo credo sia impossibile per motivi tecnici. Non sono mai
passato a stendere il protocollo, provo a ripensarci anche sentendo il vostro
parere."
Insomma vogliono scrivere questo benedetto libro sulle ricusazioni e cominciano ad entrare
nel merito tecnico di uno studio. Il calcolatore Piero RAMPONI : "Ci sono:
a) revoche per motivi di comodo (vicinanza dell'ambulatorio, orari, organizzazione,
presenza di infermiera ecc.) che si riferiscono agli aspetti logistici e organizzativi del
nostro servizio;
b) revoche conseguenti a situazioni conflittuali. Quelle di cui abbiamo discusso fin ora e
che ci coinvolgono emotivamente. Per ridurre il numero di queste revoche occorre capire le
attese del paziente oltre le parole, renderle esplicite e poi rinegoziarle;
c) revoche per "presunti errori" del MMG. Credo poche, ma tendenzialmente in
aumento."
Risponde Giuseppe BELLERI, il prof.: "La tua proposta di "classificazione",
caro Piero, mi pare adeguata e rispondente alla media dei casi empirici. Negli ultimi anni
ho anche registrato un paio di "ritorni a Canossa"; vale a dire pazienti che,
avendomi lasciato qualche anno fa, volevano iscriversi di nuovo da me. Una piccola
soddisfazione."
Una voce stridula dal fondo, è quella di Giuseppe RESSA, lo spiritato ribelle (quello del
"cagare sangue"), che puntando minaccioso l'indice in alto: "Che tu spero
abbia rispedito al mittente! Non riprendo MAI pazienti che mi hanno revocato, il rapporto
di fiducia è perso oramai per sempre e inoltre : chi tradisce una volta tradisce mille
volte ( proverbio delle Due Sicilie )".
Un 'ondata di approvazione e di sorrisi giunsero agli occhi di RESSA, che nel frattempo si
era rimesso a sedere compiaciuto e seccato nello stesso tempo. Aveva l'aspetto di un
rispettabile incazzoso. Da seduto aggiunse ad alta voce: "Del resto me ne frego di
situazioni del tipo : certificati compiacenti non stilati, visite notturne domenicali non
effettuate, ricette non lasciate nella buca delle poste."
Mauro BARSOTTI, telegraficamente: "Avrei avuto delle grosse perplessità sul fatto di
riaccettarli".
A questo punto il Mega-Moderatore, il Massimo, si alza dal suo trono in pelle umana e con
voce stranamente docile e imbarazzata manda a tutti i presenti un messaggio: "Invito
tutti gli iscritti ad evitare, in futuro, argomenti così al limite con l'off topic e
alcuni colleghi a risparmiarci i loro commenti sui messaggi, se non costruttivi".
Si risiede con il volto visibilmente arrossato dal disagio di far stare zitti quelli che
non hanno un cazzo da dire. Come se niente fosse interviene il dotto Francesco DEL ZOTTI:
"È interessante notare che la maggioranza tra noi è poco Rogersiana. Rogers è quel
grande psicologo che ci ha insegnato le regole della comunicazione paritaria con il
*cliente* . Nell'epoca di internet e dell'EBM, nel rancore per la ricusazione il MMG
mostra ancora un'emotività fortemente pre-tecnologica. No , non ci trasformeremo
facilmente in medi-robot".
> Il Moderatore comincia a contorcersi in volto e nell'addome, assumendo un'espressione
tra l'ebete e l'infuriato folle prima di una crisi di esplosione biliare. Con gli occhi
implora di smetterla ma a parole aggiunge:
"Come era facilmente prevedibile, il mio invito a rispettare maggiormente il topic
della lista ha suscitato garbati risentimenti in alcuni iscritti. Vorrei quindi chiarire
definitivamente la questione..."
Giuseppe RESSA, spiritato e più deciso e strafottente che mai, lo interrompe e dice
rivolto a DEL ZOTTI, il dotto: "Preferisco essere DUOSICILIANO che ROGERSIANO. Essere
lisciati piace a tutti e nessun Roger può toglierci l'anima. Caro Franco, tu stai a
Verona, sei penalizzato, un corso di etica duosiciliana ti farebbe bene".
Risate grasse da parte dell'uditorio e avvilimento totale del povero Enzo Brizio, che
scende dal trono (stronato) e a questo punto somiglia molto al non so che di polpettiforme
del giovane medico, da lui stesso ferocemente così ridotto in precedenza. Come se non
bastasse reinterviene Attilio DALLA VIA, il filosofo: "Non sono concettualmente
d'accordo con Franco DEL ZOTTI, e scendo in una breve disamina. Il modello
bio-psico-sociale (BPS) implica un sostanziale equilibrio tra le componenti. Ritengo che
attualmente il MMG possa essere in grado di rispondere in maniera molto più adeguata e
psicologicamente neutra ad un preponderanza di "BIO", mentre un sovraccarico di
"PSICO-SOCIALE" può essere di difficile gestione. Insomma, io ritengo che la
medicina del territorio abbia come momento fondamentale il rapporto coi pazienti e che la
nostra imperscrutabile e multiforme psiche di MMG sia fonte inesauribile di caos e
difformità".
Gli risponde Piero RAMPONI, l'abbronzato: "Caro Attilio penso che, a ben guardare tu
e Franco diciate la stessa cosa. Le componenti P e S sono utilizzate "in funzione di
B nel modello BioPsicoSociale. Il tener conto delle componenti P e S implica il
riconoscere che la componente B non è sempre adeguata alla soluzione del problema. La
valutazione della componente P e S dovrebbe lasciare al MG una neutralità emotiva.
Insomma è un problema di confine".
Il moderatore abbandona mesto la sala, mentre alcuni parlottano su come scrivere un libro
e il giovane medico è immerso nei suoi allucinati calcoli: "Quindi se P è maggiore
di S, la radice quadra di B meno
come cazzo ha detto? Ah sì, B e P in confine
con...".