Canzone per un falegname

Fausto Maggiori


L' ho visto poco fa davanti alla porta della sua bottega, immobile, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Con i suoi polmoni malandati gli ho sconsigliato di lavorare ancora: troppa polvere, almeno per qualche mese, poi si vedra'. Lui ha accettato con un sorriso triste, senza un si' o un no, come fosse la condanna, senza appello, di un tribunale speciale, l' ultimo.
Non lavora, no, ma ogni tanto apre la porta della vecchia bottega, entra e si guarda intorno, rimette nella rastrelliera una pialla rimasta sul bancone deserto, accarezza la lama della sega, saggia la morsa...
Si', tutto in ordine, il lavoro potra' riprendere con la bella stagione, forse.
Sul muro di fondo, appesa ad un chiodo, a parlar col crocefisso li' di fianco, c'e' la vecchia bici, da tempo inutilizzata, la prima a cedere alla malattia.
Volevano toglierla dal muro e buttarla, che tanto non serviva piu', ma lui non ha voluto, "la guardo come fosse una bella donna, anche se non salto piu' la cavallina..."
Lei non ha fretta, e' in buona compagnia, e aspetta di andarsene con lui, e con l' altro amico li' vicino.
Entro senza bussare.
Le prime volte bussavo e lui rideva per quell' inutile etichetta, sbucando col martello in mano, da una nuvola di segatura. Ora ha le mani in tasca, mi guarda un po' meravigliato. Nonostante i quasi 87 anni, ha una stretta di mano ancora vigorosa e giovanile, che sembra afferri un tavolone di quercia. Ho un brivido, quella stanza silenziosa mi fa uno strano effetto, non ci sono abituato, non mi sembra quasi la stessa; ma ecco, la voce di Pietro risveglia l' antica melodia: il ritmo solenne del martello, il dolce lamento della pialla, il gemito acuto del trapano che sfiora il metallo, il roco ansare della sega...
E' vero, anche le cose hanno un anima, una vita, quella trasmessa dall' uomo che le ha usate e amate, come fossero parti di se stesso. Spacca la roccia e mi troverai, dice Dio in un Vangelo apocrifo.
Non c'e' poesia piu' bella, e piu vera.
Non gli importa di morire, gli dispiacerebbe dar fastidio, essere un peso, che non sai dove metterlo, come la vecchia bicicletta, ma almeno lei non ha bisogno di niente, solo del chiodo che la sostiene.
Vorrebbe una morte rapida, magari li', in bottega, con la pialla in mano, e poi andarsene senza far rumore, alla chetichella, senza campane a morto e processione.
E ride...
La processione con i sacconi, beh, quella lo sanno tutti che non la vuole, e' capace di saltar giu' dal carro e andarsene da solo in bicicletta, perdio!
Rido anch' io ad immaginarmi la scena.
In chiesa non ha ancora deciso se andarci, ha sempre sghignazzato sulle trappole dei preti, ma ora non e' piu' tanto baldanzoso... Che decidano un po' come gli pare, basta che non la tirino tanto per le lunghe, con l' incenso e il latinorum.
Si toglie il berretto e lo scruta, poi ricomincia a parlare, piu' al berretto che a me.
O finisce tutto, o ricomincia qualcosa, di la'.
In quest' ultimo caso spera di trovare un posto da falegname. L' ha sempre fatto e non saprebbe fare altro, tavoli e sedie ce ne stanno dappertutto da aggiustare, la gente e' stanca e vuole riposarsi. Lui no, si riposa faticando.
Senza far niente, non ci si vede, a cantare con gli angeli poi, manco a pensarlo, meglio lavorare di pialla, da mattina a sera, come sempre.
Non vuole i primi posti a sedere, in ultimo e in piedi, che c'e' avvezzo sin da piccolo, e poi, tutto sporco e con le bestemmie che ha sul groppone, meglio star dietro, e non dare nell' occhio, non si sa mai.
Il berretto ascolta paziente senza rispondere, pare ci sia abituato da un pezzo a quelle stramberie senza costrutto. Ne deve aver sentite parecchie, vecchio e rattoppato com'e'. Una volta ci aveva incartato il moncone del mignolo che si era staccato di netto con la sega, me lo aveva mostrato con aria scettica, chiedendomi se poteva servire.
Tutta cosi' la sua vita, semplice e gagliarda, senza un momento di pausa, senza un lamento, solo una pioggia di precise martellate, a volte anche ritmiche e a passo di danza, per far ridere noi bambini che lo stavamo a guardare.
Ci aggiustava le spade che era un piacere maneggiarle, poi. Prima ci prestava gli attrezzi, ringhiando di non darceli sulle dita, poi passava in rassegna il nostro lavoro e torceva il naso, e si grattava la testa polverosa, e imprecava che era uno schifo, e che la guerra con quelle spade era meglio non farla, che era persa in partenza, come quella che aveva fatto lui, dannazione! Ci toglieva di mano l' arma appena fatta e, con due martellate ben azzeccate, ce la rimetteva in sesto, bella che sembrava vera. Tu la impugnavi e correvi via contento alla ricerca di un nemico da infilzare, senza mai ringraziare, lasciando la porta spalancata, mentre lui bestemmiava e tossiva, incazzato per il tempo che gli avevamo fatto perdere.
D' inverno era bello andarlo a trovare, li' dentro c' era sempre un bel calduccio. La stufa a legna tirava ch' era un piacere. Lui che, con la stagione fredda aveva poco da fare, fumava a tutto spiano, mentre, seduto sul bancone, tossiva e leggeva il giornale.
Sopra, gli penzolava incerta una lampada, con un coprilampade che una volta era bianco, ma che ora non aveva piu' colore, tanto era avvolto da una fitta rete di ragnatele e un' affollata colonia di enormi ragni. Ogni tanto, con mio grande orrore, ne vedevo uno perdere l' equilibrio, ciondolare in aria e cadergli sul giornale: lui non lo degnava di uno sguardo, e, come un gigante buono lo soffiava via, poi continuava a leggere.
Si', spesso tossiva, e poi sputava sul mucchio della segatura. Forse stava male pure allora, ma non sembrava, cosi' grande e grosso com' era.
Ricordo che mia madre non era contenta che io andassi a trovarlo, che' era ammalato di petto, mi diceva; ma quel caminetto di latta, nero di fumo, che sbucava dalla piccola finestra a vetri e cartoni, mi chiamava, e io non sapevo resistere.
Con la campagna che riposava, Pietro aveva piu' tempo per noi bambini, e si divertiva pure lui a tirare di scherma. Una volta che fuori nevicava forte, e che io gli avevo confidato il progetto di costruirmi una slitta, lui ci si mise di buzzo buono, e, insieme, varammo la slitta piu' bella, robusta e pesante mai esistita. La chiamai, proprio per questo, Ercole.
Affondava un po' troppo sulla neve fresca e cosi', prima di sciare, dovevo battere ben bene la pista. Poi andava giu' veloce, fino in fondo, che era un...disastro, con il vento freddo che mi penetrava sotto la maglia e mi intirizziva fino alle ossa. A volte penso di aver avuto una salute di ferro a non esserci mai rimasto secco, ma bastava una volta, e non starei a raccontarlo. Non c'erano cappotti, o c' erano, ma io non l' avevo. Credo che fossi povero, ma a quel tempo non ci si badava, gli amici erano tutti come me, a parte Stefano, che era figlio del dottore, un figlio di papa', capirai, ci aveva anche la televisione! Beh, riportare la slitta in cima alla salita era poi un' impresa; arrivavo su tutto sudato e non ci avevo piu' l' animo di buttarmi giu' di nuovo, cosi' mi mettevo seduto al fresco a pensare che lo sci era lo sport piu' stronzo e faticoso mai inventato. E forse era anche vero, non so. Pietro, comunque, la pensava come me, e scuoteva la testa incredulo mentre i trucioli e la segatura dei suoi capelli cambiavano di posto accomodandosi da tutte le parti, se gli dicevo che certi fessi ci pagavano pure per andarsi a scapriolare sulla neve. Roba da matti, borbottava, e giu' a piover segatura. E' con la sua bici, quella appesa al chiodo, che ho imparato ad andarci. E' stata dura, con la canna che, piccolo come ero, mi impediva l' appiglio sui pedali, ma io ero furbo, e infilavo la gambe di lato, sotto la canna e, tutto sbilenco, riuscivo a mantenermi in equilibrio e pedalare ugualmente. 
Dovrei aver avuto il gene del ciclismo sul mio DNA, peccato che i geni non andassero di moda a quel tempo, che' sarei ricco, adesso. 
Ma mi accontento, mi piace di piu' cosi'.
Si', mi piace lo stesso, mi dico, mentre sto seduto in poltrona, e, finalmente, uscito l' ultimo paziente, rimango solo. Questa e' la mia bottega, come quella di Pietro, e forse anch' io l' amero' cosi' tanto, tra un po', chissa'...
E vorro' finire qui il mio tempo, senza tanto rumore, in mezzo ai ricordi, con la musica degli attrezzi...