L' "Ammore", il DNA ed i Medici

Gambizzato


Non avrei mai immaginato che "quattro rime" ironiche, scritte per fare uno scherzo 
goliardico ad un amico, Professore universitario diventato Cattedratico di Biologia 
Molecolare, potessero scatenare una disputa teleologica, anatomo-funzionale, tra Medici 
Specialisti, capaci di discutere per ore, in spirito campanilistico e/o corporativo, per 
appropriarsi della presunta sede di origine della scintilla dell'"Ammore".
Il tutto è cominciato quando venni a sapere che un mio carissimo amico, collega dai bei 
tempi universitari, era assurto alla Cattedra di Biologia Molecolare, che, come tutti 
sanno, è quella branca delle Scienze che si occupa, in particolare, dello studio del DNA.
Proprio in quei giorni la doppia elica del DNA era ritornata nei miei interessi culturali, dal 
momento che stavo scrivendo un articolo sui rapporti tra Bioetica e Medicina e, 
sfruttando l'assonanza fonetica tra le due parole, lanciavo lo slogan "dalla doppia elica 
alla doppia etica" per esprimere il concetto che la difesa della vita (rappresentata dal 
DNA) si può ottenere proprio utilizzando l'etica Ippocratica ( sanitaria e laica), 
affiancandola all'etica Cristiana (religiosa).
Mentre "fantasticavo questi pensieri" venne nel mio studio il mio amico Gambizzato, 
cultore a tempo perso di Scienze mediche e, nello stesso tempo, amante della cultura 
napoletana (storia, filosofia, poesia, canzoni, pittura, tradizioni, etc...) il quale, tra l'altro, 
si diletta a scrivere rime dialettali e non solo, che egli si ostina a chiamare poesie, ma 
che, a stento e solo per dovere di amicizia, possono essere considerate buone 
esercitazioni scolastiche.
A dire il vero, ha la capacità di attraversare, con i suoi versi, tutti i temi cruciali della vita 
reale ed ideale (romantici, filosofici, goliardici, storici, musicali, etc...) talvolta con spunti 
veramente interessanti, ma, ovviamente, tra tali riflessioni in rima e la poesia c'è un 
abisso incolmabile, ma lui non si arrende ed insiste.
Appena lo vidi entrare gli comunicai la bella notizia, riguardante il nostro comune amico, 
novello cattedratico, e gli proposi di scrivere qualche verso sul concetto e sugli obiettivi 
della Scienza, suggerendogli un riferimento finale al tema caro ai Biologi Molecolari, cioè 
il DNA.
Non passarono molte ore che era già di ritorno con alcune quartine a rima alternata (che 
sono il suo forte):


"Io vulesse 'a spiegazione:
a che serve chesta Scienza
si nun dà 'a dimostrazione
d' 'e misteri d' 'a cuscienza?

Si nun sape dà 'a risposta 
p' 'a domanda cchiù banale,
che ognuno già s' è posta
comme quiz universale?

Ma l' Ammore...comm' è fatto?
Chi 'o produce? Che robb' è?
S' adda potenzià l'olfatto
o 'a vista p' 'o vedè?

Fosse mai 'na citochina?
È 'na ghiandola, 'n' ormone?
Forse....è 'n' ata encefalina 
o 'n' ato gas int' 'o pulmone? "



Il tema, così introdotto, mi sembrò, subito, molto stimolante e ne facemmo motivo di 
conversazione, come è nostro costume, all'interno della Farmacia di Cesare Saccavino 
in paese, con gli amici Colleghi Medici e non solo, che ci vennero a trovare in quelle 
serate e con i quali siamo soliti discorrere di Medicina, Storia, Arte, Filosofia, Politica, 
Cronaca, Poesia, Letteratura, etc...
La discussione fu molto ricca di contenuti e di arricchimento reciproco, con spunti 
individuali originali e citazioni dotte, tirate fuori dagli astanti dal proprio bagaglio 
culturale, ognuno per il suo campo di interesse. E così venne fuori che anche 
Shakespeare si era posto la stessa domanda: "What is that thing called love?" oppure 
che "è difficile darne una definizione; è più facile immaginare alcune scene, come quella 
suggerita dai versi di Dante: "La bocca mi baciò tutto tremante" (Inferno, V, 136 - Paolo 
e Francesca), dopo di che fu un diluvio di citazioni dantesche: "Amor che al cor gentil 
ratto s'apprende" oppure "Amor che a nullo amato amar perdona" sempre del V Canto 
dell'Inferno; oppure, per i più pessimisti (o più realisti ?) il Metastasio: "E' la fede degli 
amanti / come l'araba fenice: / che vi sia ciascun lo dice, / dove sia nessun lo sa." 
(Demetrio, a. II, sc. 3) oppure, ancora per i dissacratori, un vecchio pensiero del 
Gambizzato, che faceva il verso a Dante, e che, almeno nella nostra Farmacia, era 
diventato famoso tanto da essere ripetuto spesso in tono ironico: "Amor che a nullo 
amato amar perdona"/ è tutto nu muntone 'e fessarie! / Se vede che Dante chella vota / 
teneva 'a capa chiena 'e fantasie". E così via, senza che mancassero, nel farsi sentire gli 
amanti della lirica: "Ma che cosa è questo amore / che fa tutti delirar? / Egli è un male 
universale, / una smania, un pizzicore, /un solletico, un tormento.../ Poverina, anch'io lo 
sento, / né so come finirà. (Il Barbiere di Siviglia di Rossini, a. II, sc. 5) oppure "Di 
quell'amor ch'è palpito / dell'universo intero, / misterioso, altero, / croce e delizia al cor." 
(La Traviata di Verdi, a. I, sc. 3), senza parlare di coloro che facevano sfoggio di 
reminiscenze liceali, anche se l'Amore di cui parlavano non si riferiva a relazioni fra 
viventi, ma, più precisamente, al rapporto affettuoso particolare fra i viventi e gli 
estinti: "Celeste è questa / corrispondenza d'amorosi sensi" abbinata alla "Eredità d' 
affetti" sempre del Foscolo ("De' Sepolcri, v. 29-30 e v. 41).
La conversazione diventò subito accanita e, come spesso succede quando Medici di 
diverse Specialità discutono fra di loro, ognuno cominciò a difendere l'organo di proprio 
maggiore interesse culturale, proponendolo come sede elettiva del quesito diagnostico. E 
il dilemma in questione era: "Ma l'Ammore dove origina? Come è fatto? Chi lo sintetizza?"
La parola "Ammore", usata per l'occorrenza, ovviamente, non conteneva un errore di 
stampa, come potrebbe apparire a prima vista, ma veniva proprio enunciata così, con 
la "A" maiuscola e con la doppia "mm", un po' per la provenienza meridionale della 
maggior parte dei "discussant", ma anche, e prevalentemente, per gustarne appieno 
tutto il piacere nel pronunciarla e per rimarcarne il significato indefinito, terreno e 
metafisico nello stesso tempo.
Durante tutta la conversazione (o la discussione) il Gambizzato si tenne volutamente in 
disparte e, sornione, ascoltò tutti i contendenti con grande attenzione, sicuramente 
meditando, in silenzio, le altre rime che avrebbe prodotto e che, infatti, ci consegnò nella 
serata successiva, come prosecuzione delle precedenti:



"Addò nasce? Int' 'o cerviello?
Certo 'a sotto d' 'a corteccia!
Si arragiona troppo, chillo,
nun 'a mena chella freccia.

Fosse,...'o core...'o motore,
che produce st' energia,
senza manco 'nu rummore
e senza fa' 'n' economia?

Nun è certo l'intestino
che tenimmo dint' 'a panza,
poco nobile è 'o destino
poca, pure, è ...l'eleganza.

Pure 'o fegato si dice
che produce tanto umore,
ma l' Ammore è assai 'nfelice
si d' 'a bile.....tene 'o sapore.

Forse è 'o rene? o 'a curatella?
Ma 'o segreto addò è che sta?
Dint' 'a milza? manco chella!.
Stesse......... dint' 'o DNA? "



Come si può vedere, l'ultima quartina continuava a lasciare tutto in sospeso e rilanciava 
proprio il quesito al nostro amico Professore di Biologia Molecolare. Tale conclusione mi 
sembrava aver raggiunto perfettamente l'obiettivo prefissato, quando gli avevo proposto 
di scrivere due rime per l'occasione, e mi sentivo appagato. Pensai, così, che potevano 
bastare, essendo già sufficienti per esprimere il concetto desiderato e per stimolare un 
sorriso di simpatia in chi avrebbe dovuto ricevere il messaggio.
Chiesi, quindi, al Gambizzato, di trascrivermi le nove quartine al computer, avendo 
intenzione di inviare una E-Mail (anche i "presunti umanisti" di oggi usano questi 
abominevoli indispensabili mezzi tecnologici) al mio amico Cattedratico con il titolo: "La 
sfida napoletana alla Biologia Molecolare".
Ma non avevo fatto i conti con i miei amici Gastroenterologi, in particolare con quelli 
studiosi del pancreas, i quali mi rimproverarono che: "come al solito, nella diagnostica 
differenziale, i Medici si dimenticano dell'organo "pancreas", che viene sempre 
sottovalutato". A loro dire, infatti, nella "poesia" non si era tenuto conto di questa 
possibilità "eziologica" e, quindi, invitavano me ed il Gambizzato ad un riesame della 
situazione con un "approfondimento diagnostico".
Il Gambizzato non si fece sollecitare troppo e, dopo poche ore, era già di ritorno con una 
soluzione idonea per i Colleghi, anche se sempre interlocutoria. Quando la discussione, 
infatti, sembrò essersi arenata, egli, con fare solenne, ponendosi al centro della stanza e 
con il dito indice destro sollevato, esclamò in tono serioso: "Permettete un pensiero 
poetico ?", rifacendo il verso, se ben ricordate, al poetastro del film "Così parlò 
Bellavista" di Luciano de Crescenzo. 
Tutti gli astanti si zittirono, come gli attori del film, ed Egli in tono ieratico declamò:



"Stesse dint' 'o pancreas
'n 'ato enzima fannullone
e int' 'o sanghe s'infilass'
pe' te fa' saglì 'a passione? "



e, continuando, spiegò che l'idea gli era venuta pensando all'enzima 
pancreatico "amilasi", che forse meglio, secondo Lui, potrebbe essere chiamato, in 
questo caso, "amalasi" per i suoi riferimenti "amatori". 
La risata scoppiò spontanea tra tutti i presenti, confondendosi con quella del Gambizzato 
che raccoglieva, con soddisfazione, i commenti positivi di tutti, in particolare quelli dei 
Pancreatologi: "Ma come hai fatto a trovare la rima con "pancreas", che sicuramente non 
si presta facilmente ad un utilizzo "poetico"?
La situazione, quindi, sembrava risolta con un largo "consensus", quando entrò in scena 
il Primario Ginecologo che tenne a sottolineare "l'importanza dell'apparato genitale in 
tutta la dinamica amatoria, per cui non poteva non essere tenuto in conto nella disamina 
delle sedi di origine dell' "Ammore" (sempre con due "mm")",
In particolare la rivendicazione (o forse anche l'accusa) era rivolta contro gli Internisti in 
genere, che, a suo dire, "trascurano tutto ciò che sta al di sotto della cinghia" (" 'a 
sotto 'a cinta" in dialetto napoletano, come Egli più esplicitamente si era espresso).
La contestazione non era priva di "fondamenta", tenuto conto dell'importanza degli 
organi sessuali, quali sedi di sintesi del testosterone e degli estrogeni. Tutti rimasero 
attoniti ed il Ginecologo sembrava orgoglioso di essere ritornato in possesso di un bene 
che gli era stato espropriato ingiustamente, ma la risposta in rima (o per le rime ?) del 
Gambizzato non si fece attendere:


"Nun po' sta' 'a sotto 'a cinta,
fosse troppo materiale,
llà se resta sulo incinta!
Nooo...l'Ammore è spirituale! "



per cui, concluse il Gambizzato, difficilmente può essere di pertinenza ginecologica.
La frase finì nell'ilarità generale, anche dello stesso Ginecologo, ma la questione, pensai, 
non poteva essere considerata definitivamente risolta, perché i Ginecologi sicuramente 
sarebbero ritornati al contro-attacco e, quindi, bisognava attendere le contro-deduzioni.
A questo punto, però, considerati i continui richiami, anche ben motivati, per le gravi 
lacune nella diagnostica differenziale del "caso clinico in oggetto", proposi al Gambizzato 
di non essere ulteriormente superficiali e di allargare, subito, tutto il ventaglio delle 
ipotesi diagnostiche senza aspettare i reclami e senza trascurare nessuna ulteriore 
possibilità.
Analizzando, quindi, l'intero spettro delle varianti specialistiche della Medicina (mamma 
mia, quante ne sono !), concludemmo, insieme, che, effettivamente, non avevamo 
ancora preso in considerazione "il Sangue" e "la Pelle".
Alla luce di questa serena riflessione, a dimostrazione della complessità della Medicina e 
del difficile compito di chi deve fare una diagnosi esatta, consigliai al Gambizzato (prima 
di subire le giuste critiche degli organi esclusi) di anticipare le prevedibili rimostranze 
degli Ematologi e dei Dermatologi.
Il Gambizzato mi rispose: "Se le cose stanno così, non sarà sicuramente piacevole e 
facile fare il Medico Internista, che ogni giorno deve mettere in atto tutti questi 
ragionamenti per non dimenticare alcun organo o apparato, ma, nello stesso tempo, ho 
capito che fare lo Specialista, senza mentalità Internistica, è per forza carente sul piano 
diagnostico e foriero di gravi inadempienze. In ogni caso, se per fare una banale poesia 
(non una diagnosi clinica) devo badare a tutte queste cose che stanno emergendo, io 
non mi diverto più e, quasi quasi, mi viene voglia di rinunciare a continuare il gioco. Ma, 
come si suol dire: "Quando il gioco diagnostico (o poetico) si fa duro, sono i duri a 
scendere in campo" e, allora, non mi posso tirare indietro, tanto più che verrei meno al 
nostro motto (o parola d'ordine): "Simm' o nun simm' chello che simm' ? 
Così dicendo se ne andò, pensoso, nel suo eremo ideale misterioso e, dopo poco, ritornò 
con due nuove quartine:



"Certo 'o sanghe se ribella
si 'a tuocc' 'ncopp' 'a vita;
fosse Ammore che ribolle
dint' a ogni eritrocita ?

o è colpa 'e nu capillo, 
che svolazza dint' 'o cielo
e te fa scattà 'a scintilla
si se scontra...con un pelo? "



Bravo, dissi. Finalmente, esclamai, abbiamo concluso la piacevole fatica, senza 
scontentare più nessuno e nel perfetto rispetto della "par condicio", così non potranno 
adombrare il pur minimo sospetto di conflitto d'interessi da parte nostra (e noi ci teniamo 
molto ad evitare i conflitti di interessi, meritevoli di attenzione a tutti i livelli, perché 
riteniamo che non debbano essere furbescamente elusi da nessuno, pena la perdita di 
credibilità).
Tutti sembravano soddisfatti, come me, quando intervenne in discussione una simpatica 
vecchina, mia paziente affezionata, presente in Farmacia, la quale aveva assistito a tutta 
la scena rumorosa e che, alzando la voce per evidenti motivi di deficit 
uditivo, "m'alluccava" ("mi sgridava") attirando la nostra attenzione su di sé:



"Nun è overo ch'è finita"
- m' alluccava chella vecchia -
"nun so' ancora rimbambita,
t'ha' scurdato pure 'a recchia;

e l'Ammore alla mia età, 
nun è vero che se scorda:
Isso chiamma, in verità,
ma, ormai, so' troppo sorda!"



Ci scambiammo uno sguardo di complice simpatia e sorridemmo compiaciuti per 
l'arguzia della nostra cara vecchina, che aveva saputo scovare un'altra dimenticanza, 
rivelando anche una non ancora sopita smania di innamoramento (Ah! Se non fosse 
stato per la sordità!). 



"Certo 'a recchia, 'o naso, 'a gola,
l'unghia, 'o callo, 'o dente, 'a vista,
nu sospiro, 'na parola..........";
e ccà intervenne l'Oculista:

"Stesse Ammore int' 'a pupilla?
E si 'a guard' dint' a l'uocchie,
nu riflesso, 'na scintilla......
e te fa piegà ...'e denocchie?

E allora 'o Farmacista,
che pur'è 'na mente ricca,
s'intromette: "...non insisto,
fosse, tutto,... na pasticca? "



Ormai in questa Farmacia tutti parlavano in rima e tenevano il cervello in ebollizione per 
continuare la "ricerca" e trovare la giusta soluzione al quesito. Frattanto, mi sembrò 
giusto consolare il nostro Gambizzato, che era rimasto un po' mortificato, ed esaltai le 
sue doti poetiche, dicendo che solo lui poteva essere paragonato a Cirano de Bergerac 
che, tra l'altro, scriveva rime anche su commissione e che, solo davanti a lui, bisognava 
inchinarsi.
Mentre, però, accennavo ad un inchino di riverenza per la sua bravura, commisi la 
leggerezza di mimare,con il mio cappello, il gesto dei Moschettieri, per fare un 
riferimento ideale a quel famoso Poeta vero, Cirano, che era anche un valente 
spadaccino.
Nel fare, però, questo movimento di inchino e di torsione con il busto, avvertii un dolore 
in sede lombare e mi sovvenne, in contemporanea, che, ancora una volta, avevamo 
trascurato qualcosa: cioè, l'apparato osteo-articolare.
E chi li sente gli Ortopedici, pensai, che già si ritengono sempre trascurati ? Per cui 
implorai il Gambizzato di fare un ultimo sforzo, che Egli non mi rifiutò e, su due piedi, 
declamò, preso da vera spontanea ispirazione, l'ultima strofa in tono ultimativo:


"So' rimaste sulo l'ossa!
Si l'Ammore stesse llà, 
ce 'o purtammo dint' 'a fossa
pecchè vvò ...ll' Eternità? "



Devo ammettere che rimasi rapito dal suo tono ispirato ("Vuoi vedere che è veramente 
un Poeta?") e dall'ascolto degli ultimi versi, che, ancora una volta, mi richiamavano al 
mistero del trascendente ed al senso metafisico dell'Amore, della Morte e della Vita, 
racchiusi in un unicuum indecifrabile ed indefinibile.
E mi sovvenne una riflessione del grande psicanalista Carl Gustav Jung, letta in uno dei 
suoi libri, "Ricordi, sogni, riflessioni" del 1961. Mi precipitai in biblioteca e, senza grandi 
difficoltà, ritrovai il libro e la pagina, ove, ovviamente, a suo tempo, avevo fatto 
una "orecchietta" come è mia abitudine. (Le mie figlie mi rimproverano sempre per 
questo vizio, perché, secondo loro, "rovino i libri", ma io ribatto: "i libri non rovinati non 
servono a niente", se non ad abbellire le pareti delle biblioteche. Se non avessi fatto la 
ripiegatura ("orecchietta") alla pagina in questione, probabilmente ora mi sarei già 
stufato di ricercarla e mi sarei arreso; invece l'ho trovata subito, con relativa facilità, e, 
tra l'altro, con le righe interne ancora più rovinate dalle mie solite sottolineature a penna 
e tratteggiate ai lati, ove c'era anche una freccia direzionale (segno che quella frase 
aveva ottenuto il massimo del consenso e meritava la rilettura per chiunque avesse 
sfogliato il libro e l'avesse avuta sotto gli occhi, in particolare i miei figli).
Mi rilessi la frase e mi riconvinsi ulteriormente che avevo fatto bene a rimarcarla:
"Essendo una parte l'uomo non può intendere il tutto. E' alla sua mercè.... L'uomo può 
cercare di dare un nome all'amore, attribuendogli tutti quelli che ha a disposizione, ma 
sarà sempre vittima di infinite illusioni. Se possiede un granello di saggezza, deporrà le 
armi e chiamerà l'ignoto con il più ignoto, ignotum per ignotius, cioè con il nome di Dio.
Sarà una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione, ma, al tempo 
stesso, una testimonianza della sua libertà di scelta tra la verità e l'errore". (C. G. Jung, 
1961)
A questo punto il quesito misterioso ("What is that thing called love") aveva concluso il 
suo ciclo terreno, organicistico, e si era proiettato all' "Infinito", per cui mi potevo 
sentire appagato, al di là della banale disquisizione goliardica di cui ero stato interprete, 
attore e spettatore divertito, insieme ai miei Colleghi ed al Gambizzato. Ma rimaneva 
ancora non soddisfatto il "primum movens" di tutta questa vicenda, cioè il mio amico 
Professore di Biologia Molecolare, che, ovviamente, era ancora all'oscuro di tutto e non 
aveva ancora ricevuto la provocazione, sotto forma di invito, arguto ed ironico, a cercare 
la spiegazione dell'"Ammore" all'interno del DNA, che è il simbolo e la culla della vita.
A tale scopo, decisi di cambiare il titolo delle quartine del Gambizzato e pensai che 
poteva andare bene: "L'"Ammore" ed i Medici", dopo di che, visto che anche io mi diletto 
a imbastire rime (da allievo impenitente del suddetto Gambizzato a causa delle continue 
frequentazioni) completai l' "opera" a modo mio e gliela spedii, via E-Mail, con questo 
finale:



"Tutto chello che è pensato
s' adda sempe dimostrà;
quann' nasce 'nu Scienziato
cu stu genio 'e ce pruvà?

Biologia molecolare,
nun te mettere appaura,
c' 'o quesito universale 
nun può fa' brutta figura;

ce vulesse 'nu studioso
che tenesse 'a fantasia,
cu 'nu spirito curioso
p' arrivà... oltre 'a poesia "



Da allora temo sempre che possa venir fuori, qualche altro collega, a rivendicare il ruolo 
di qualche altro organo anatomico dimenticato nella nostra ricerca, ma, se devo essere 
sincero fino in fondo, forse, nello stesso tempo, me lo auguro, perché, fino alla fine, le 
diagnosi possono essere sempre affinate e corrette.
D'altronde è notorio che "le diagnosi, come gli esami, non finiscono mai", tanto più che "il 
caso clinico in questione", cioè l'"Ammore" (con due "mm") è come l' Uomo, cioè unico, 
irripetibile, indefinibile, in divenire.