Cronaca grassa

 (Francesco Gugliotta)  
 


Dicesi “cronaca grassa” quell’avvenimento ilare che accade in modo inspiegabile e non previsto, ed è ‘ grassa’ in quanto serbatoio di notiziole amene, ridicole, realisticamente comiche.
Mi trovavo a svolgere, presso il mio ambulatorio, il mio pseudo- lavoro di burocrate del Sistema Sanitario, quale dottore in Medicina ormai consunto, come succede ai malati di tubercolosi cavitaria, da imposizioni di leggi, leggine, note, protocolli, piani terapeutici, visite di controllo, ADI, Adp, Sert, ricoveri in TSO e una tiritera di altre misere commissioni che io, suddetto burocrate, medicuncolo ( ho scritto medicuncolo…) ero costretto a praticare per ottenere una contropartita economica che alla fine mi consentiva l’acquisto mensile di una Bottiglia di China Martini col quale inneggiavo, ogni sera, alla meravigliosa realizzazione della mia esistenza .
Dicevo che, impegnato nella titanica lotta di trascrizione di ricette, il 13 settembre timidamente si presentò sull’uscio il mio paziente Vito, un dì obeso e iperteso che (da me convinto) aveva preso a correre e a gareggiare con discreti successi personali, emulando il sottoscritto che nei rari momenti di tempo resi liberi dopo l’abbuffata della grande scienza medica a cui mi sottoponevo ogni giorno, davo ampio sfogo alle mie esili, a dir il vero, possibilità di correre in modo …degno. Tuttavia la mia testardaggine ( non per niente sono Aretino!) mi costringeva a sforzi sovrumani dopo i quali stramazzavo abitualmente su un prato o su un marciapiede, ma riuscendo a non battere lo stesso.
Vito mugugnò poche sillabe: Domenica 17 settembre si sarebbe svolta una gara a Borgo Nuovo.
Il sottoscritto,cioè io, che nella mia precarietà sportiva pretendo di poter effettuare periodicamente una verifica delle mie qualità atletiche per stabilire (anche se in modo imperfetto) quanto tempo ho a disposizione nel cammino periglioso di questa vita del tubo, accolsi la notizia con una certa soddisfazione e ciò mi permise di risolvere per quel giorno l’immensa serie di quelle inutili prescrizioni di ricette, gustando un’effimera intima serenità e quasi salmodiando il ‘servire dominum in laetitia’ di papale memoria.
Puntualmente la domenica successiva alle 8,45, dopo l’abituale accurata preparazione e dopo il rito della vestizione svoltosi nel segreto della mia abitazione, mi recai in auto , come convenuto, a Borgo Nuovo là dove supponevo che dovesse svolgersi la tenzone ma scrutai una piazza deserta e per di più stracolma di rifiuti. Ebbi
un attimo di perplessità e dopo pochi istanti vidi sopraggiungere ad una certa velocità un automezzo della ditta incaricata della pulizia che, in men che non si dica, rastrellò ogni sporcizia dal selciato e con un gran fracasso fece un giro rapido della piazza e si allontanò di gran corsa, perdendosi subito all’orizzonte, avvolto da una nube di polvere pregna di lerciume e di rifiuti svolazzanti,espressione corporale dell’abbuffata ecumenica su quella pubblica piazza della sera precedente e dando la sensazione, a me ancora,con lo sguardo ‘allallato’, che stesse sgusciando via come per dire:”Adesso so ca…zi vostri !!
Il fatto mi procurò qualche sospetto anche perchè da subito non intravidi alcun atleta e solo in lontananza scorsi la figura di alcuni miei amici: Vito, per primo, manifestava un’aria baldanzosa e si perdeva con i suoi mugugni a riferire che lui lavorava lì, al Centro Sociale, si proprio lì dove ci stanno gli anziani che lui fa giocare, dà loro le carte, dà loro la dama e poi cosa importantissima tiene e maneggia l’unica chiave del gabinetto, …che se noi avevamo necessità… potevamo andare (beh…. Si può anche consentire), si, si poteva andare a …pisciare, certo sotto il suo controllo! V’era poi il Franco, quello della pinna arrotolata che, con atteggiamento dignitoso, avendo a latere la consorte, incedeva guardandosi intorno e stralunando dietro i suoi spessi occhiali, uno sguardo di chiara meraviglia e… però.. forse coltivava in cuor suo la supposizione che una scarsa partecipazione gli avrebbe consentito di agguantare con la consueta voracità l’ennesima coppa. Completava la scena un altro atleta, tale Nino soprannominato ‘scioppettino’ forse per meriti tracannatori e tale Salvo, che di speciale presenta il numero del piede :il 48.
Ci salutammo e ci scrutammo negli occhi con perplessità. Andammo alla ricerca di qualcuno che potesse dare qualche notizia, considerato peraltro che l’orario presunto della partenza si avvicinava. Qualcuno, non so a che titolo, ci confermò che la gara sarebbe stata effettuata puntualmente; difatti dopo circa un quarto d’ora, in un angolo della piazza apparvero un gruppetto di tre o quattro persone che portarono un tavolino traballante, di quelli che ti ricordano i tavoli ove poggia il suo cesto il venditore di frittola.
Credo che Franco, che talora ha il rutto facile, e lo Scioppettino, che probabilmente prima di scioppetare e’ abituato a ingurgitare, immaginarono che la gara fosse stata annullata e che venisse offerta ad abundanziam una valida alternativa, rappresentata da uno sgarrubamento senza fine di unghia, di musso e di orecchie di porco. La mia sensazione nasceva dall’aver constatato su entrambi ampi rivoli di saliva straripanti agli angoli della bocca che gocciolavano per terra e che ,aimè povero medico, mi ricordavano il gocciolio dei tempi d’oro dello ‘Scolo’; in effetti si poteva incorrere in tale errore poiché, da esso tavolo, si sprigionava solenne una marea montante di odore fetido, fetente e fetentone, di quelli ( per intenderci) che ti marcano per un giorno intero finche non ti sgrassi adeguatamente e in toto.
Una voce decisa e tonante ci avvisò che erano aperte le iscrizioni che venivano registrate in un gran foglio bianco plastificato con un pennarello; ci venne consegnato il numero del pettorale che , unica volta in vita mia, era costituito da un rettangolo di piccole dimensioni, ricavato da un sacco di plastica dell’Amia, al che io, nella mia proverbiale ingenuità, mi convinsi che la gara era stata sponsorizzata dal Comune e chissà forse sarebbe pure intervenuto il Sindaco Cammarata.
Alla fine la lista dei partecipanti era composta da: Io, non perché sia il migliore, Franco,Nino, Salvo,due o tre giovani di età tra i 25 e i 35 anni, quattro o cinque ragazzi di 13-14 anni e, unica donna, la moglie di Franco che aveva l’ardito compito di arrivare prima in campo femminile.
Terminte le operazioni di riscaldamento, fummo chiamati al nastro di partenza da un tale di apparente 50 anni con sguardo tra l’imbambolato e il confuso, con un colorito giallastro agli occhi che, con una loquela di estrazione francamente dialettale nella quale erano inserite parole italianizzate, ci avvisò senza mezzi termini che nessuno doveva fare il furbo per arrivare prima.
Poi dette la partenza e immerso in quella straripante coorte di atleti, viaggiai immediatamente nelle ultime posizioni. Dovevamo percorrere otto giri di un percorso di milledueceno metri, che in totale facevano novemila seicento metri, distanza alla quale non era allenato. Il mio pudore mi aveva comunque aiutato giacchè mi ero fornito di un cappellino con enorme visiera, di quelli alla West Point che usa il presidente Bush quando si trova nel suo ranch in California, la quale non consentiva a sguardi estranei e malvagi di intuire chi si nascondesse di sotto; non potei impedire comunque le grida di incitamento alla “amunì nannò ( “andiamo nonno”) che mi facevano tanto male perché mi obbligavano a pensare che in effetti appartenevo ormai alla terza età.La mia andatura era però regolare tal che ad un certo punto del percorso acciuffai uno dei concorrenti giovani e ciò mi consentì di osservarlo.
Era sovrappeso, credo che non avesse neanche lo sguardo “allallato” ma solo “rinco”; correva effettuando piccoli scatti e quando la forza si esauriva rallentava e si lasciava andare a profondi gemiti che riempivano il mio cuore di pietà. Mi chiese quanti anni avessi e alla mia risposta ricadde in una crisi dispnoica ancor più grave talchè legittimamente pensai che in cuor suo doveva essere pervenuto alla conclusione di essere veramente un coglione, se si faceva raggiungere da me. Non lo superai perchè alla fine di quel giro, deviò rapidamente di novanta gradi e si ritirò dalla competizione.
Continuai imperterrito a correre sotto lo sguardo compassionevole della tarda età un cui gruppetto mi attendeva pazientemente in un determinato tratto del percorso; sulle prime rimasi gratificato dai loro incoraggiamenti ma dopo mi convinsi che sicuramente lì si facevano scommesse clandestine sulla mia tenuta e che, ogni volta che passavo davanti a loro, aumentavano l’importo delle cifre, aspettando di veder quando stramazzassi al suolo.
Non diedi loro tale soddisfazione perché in realtà stramazzai sì, è vero, ma
dopo aver superato il traguardo e aver concluso la gara.
Non mi aspettavo certo di essere premiato ma con sommo stupore vidi premiare con un grossa coppa il giovane che si era ritirato. Vito aveva vinto la gara e Franco, come era sua abitudine si era comportato dignitosamente ma per lui la coppa non era prevista.
Iniziò un esilarante discussione che andò per le lunghe e che venne rinvigorita dall’aver scoperto altre coppe tenute nascoste in malo modo dagli organizzatori.
Vi fù un battibecco vigoroso dopo il quale vidi uscire Franco dal mucchio brandendo una coppa al cielo e dichiarando la propria legittimità al prelievo forzoso. Nella mischia si gettò pure Salvo, piede n’ 48, e Nino ‘scioppettino ed entrambi ebbero il doveroso e legittimo riconoscimento alle loro fatiche.
Ho un ricordo nebuloso ma credo che abbiano invitato anche me a tuffarmi in quella gioiosa tenzone per acchiappare anche la ‘mia’ coppa.
Declinai l’invito: mi sentivo ‘merda’ abbastanza.