SOLO IN UNA CARROZZA DI SECONDA CLASSE
SU UN BINARIO MORTO

Sergio Stagnaro


Nella realtà, come nella finzione letteraria, i medici sono nati con la vocazione per un’attività lavorativa un tempo definita missione. I futuri discepoli di Esculapio rivelano la loro predisposizione per la Medicina fin da quando, con occhi solo apparentemente parlanti di sonno, controllano la preparazione del biberon (da tempo ormai l’allattamento è artificiale) prima di berne il contenuto. Ragazzini, visitano soltanto, ma non obbligatoriamente, le appartenenti all’altro sesso, con l’aiuto di un fonendoscopio acquistato ai Grandi Magazzini. In realtà, oggi, neppure loro utilizzano questo obsoleto strumento, a quanto mi viene riferito. Infine, da studenti, stupiscono amici e parenti per una intelligenza fuori del comune e per una ferrea, alfieriana volontà, che li spinge a trascorrere giorno e notte sui sacri testi e a meritare il 30 e lode dei docenti ma -ammettiamolo - a trascurare quei nobili attributi del corpo, che certamente sarebbero - da un più regolare esercizio, - destinati ad attività prolungate negli anni e notevolmente più apprezzate.
Chi, come me, è destinato a procedere - e non solo per vocazione ma anche per scelta - sempre contro corrente a modo di spermatozoo, non può vantare un caso personale altrettanto ragguardevole e glorioso. Certo è che sarebbe stato raggiunto da un mio diretto alla mascella chi mi avesse preannunciato, malefico oracolo, un futuro da medico. Qualsiasi pretore d’assalto, poi, mi avrebbe assolto con formula piena perché il fatto non costituiva reato; a 3 anni subii il primo ed unico (auto-) intervento chirurgico (parafi­mosi), complici un candido paio di aderenti calzoni, un filo di seta, dimenticato dalla sarta (forse una mancata.­.chirurga) ed un balzo repentino dal tavolo di cucina. A questo punto improvvisamente i calzoncini, a causa del sangue, si trasformarono in un vessillo, degno di sfilare sulla Piazza Rossa nell’anniversario della Rivoluzione di Ottobre, che notoriamente si celebra in Novembre, tempo dei morti: alla vista del “rosso”, sangue o vernice poco importa, per la prima - ma non certo l’unica - volta “caddi come corpo morto cade”.
A sei anni, a causa di un dentino da latte, che, adeguandosi al comportamen­to da spermatozoo del proprietario, prometeicamente si ribellava ad un effimero destino, tipico della mimosa, fui trasportato di peso nell’ambulatorio di Via Sara, a Sestri levante, dell’ottimo dott. G.B. Daneri, Medico e Dentista, come si usava nei bei tempi passati. Oltre ai robusti genitori, mi teneva fermo - o meglio tentava di farlo - mio nonno materno, U Nanin, piccolo ma ex pugile dilettante.
Ogni parte del mio corpicino sembrava immobilizzata, quando, la vista di un oggetto metallico in mano all’esperto, ha fatto scattare la gamba destra del futuro calciatore; inevitabilmente la punta del piede, attaccato alla suddetta, si è fermato sopra una rotula del malcapitato sanitario, che da quel giorno pare abbia cominciato a zoppicare, mentre io mi sono ritrovato sulla regione zigomatica destra un arrossa­mento, definito congenito con la complicità del Medico di Famiglia.
Dopo anni, memore di questo tragico, fracchiano evento, dedicai al caro Daneri, medico insuperabile, un racconto.. .pseudo-scientifico.
Ogni rapporto amichevole con la Medicina svanì durante la guerra a causa di morti e feriti, pietosamente trasportati su scale di legno funzionanti da barelle e di tanti innocenti giovani tedeschi, galleggianti cadaveri sulle onde del mare di Riva Trigoso, dopo i siluramen­ti di numerose “betulline”, zattere da trasporto.
Dopo la licenza liceale conseguita al Classico F. Delpino di Chiavari giunse la “decisione di fondo”, presa da mio fratello, che così mi parlò, mentre in treno andavamo a Genova per la mia iscrizione: “Ad Economia e Commercio ci sono io ed è più che sufficiente; legge esclusa, non difendi nemmeno te stesso; per la Medicina non sei portato...” bianco in volto - nonostante il colore della regione zigomatica destra - acconsentii. “Ti iscriverai a Ingegneria; a Riva ci sono i Cantieri Navali e chi sa quale brillante futuro ti è riservato...”. Il giorno seguente ho conosciuto il “futuro”, appena entrato nell’aula del biennio di Ingegneria a S. Martino: un ometto ossuto, col volto pallido e scavato ed il cuoio capelluto irregolare per numerose cisti sebacee, indicando un disegno invitava gli studenti a “determinare l’ombra propria di una sfera e le ombre portate sui due piani delle proiezioni ortogonali...”. Per me che non sapevo squadrare un foglio da disegno, vissuto per anni nell’ammirazione per il perfetto Eschilo e il divino Sofocle, sostenitore del realismo di 5. Tommaso d’Aquino era come se sentissi parlare un ex:tra-terrestre. Silenziosamente raccolsi le mie intatte proprietà e lasciai l’aula incurante di numerosi occhi puntati sulla mia persona e senza che le “troppe orecchie legassero la mia lingua” pronunciai ad alta voce la parola “famosa” del noto generale francese.
Come dentro ad un incubo, giunsi alla stazione di Brignole in cerca del primo treno che mi riportasse a casa. Mi destai, dopo molto tempo, solo, in una carrozza di seconda classe, su un binario morto, con una irrevocabile decisione di diventare medico.. poiché rappresentava l’unica strada da intraprendere, per esclusione. Fu così che il giorno successivo varcai il portone della Clinica Medica, dove incontrai per la prima volta il Prof Antognetti, mio futuro Maestro.
Parenti e amici parlarono a lungo di una vocazione solo apparentemente tardiva...; i miei genitori dissertarono sul “disegno” della Divina Provvidenza, In realtà, nella decisione di incamminarmi sulla via, che ancora oggi percorro, un ruolo di primo piano lo ha recitato sicuramente un “disegno” ma di natura terrena, oggetto dei miei notturni incubi, durati a lungo, dopo quel 1950.

Molti altri avvenimenti seguirono a questa data, degni di essere raccontati, perché divertenti assai; ma sono troppo recenti, appartengono alla cronaca, che non va mescolata con la storia in quanto si corre il rischio di offendere la prima e falsare la seconda.