PROFUMO DI VITA

Sergio Stagnaro


Giorno dopo giorno il vecchio Angelo era sempre più convinto che la vita è una ruota che gira per tutti. Le varie esperienze quotidiane gli facevano rivedere, nella memoria, la sua vita con i genitori e i nonni, cioè coloro che gli avevano permesso di nascere, vivere, amare, provare emozioni e soffrire in silenzio. “Ai miei tempi, agli anziani si dava del Voi...”, ripeteva ad ogni piè sospinto, in particolare ogni volta che Enrico, il nipotino, lo trattava come se la degenerazione fisiologica dei suoi neuroni cerebrali, da tempo raggiunto il livello di guardia, inarrestabilmente l’avesse superato. “Nonno, ma come ti sei vestito...” . “Nonno, pettinato così sembri 1’uomo della foresta... ed io con te non esco...”

Angelo, rattristato, si sforzava di sorridere senza però riuscire a nascondere la sua amarezza.

Tuttavia, preferiva pensare, illudendosi, che 1’amato nipotino fosse preoccupato amorevolmente per il suo look, al momento trasandato e fuori moda. Sapeva bene, d’altra parte, che in famiglia era stato accolto nel modo migliore possibile, specialmente nella dimensione dell’amore.

Era motivo di felicità portare a passeggio il nipotino, mano nella mano, lungo la spiaggia silenziosa e questo suo principale compito quotidiano gli permetteva, mediante i racconti, di rivivere momenti felici della sua esistenza.

Purtroppo per lui, la memoria di Enrico era paragonabile a quella di un personal computer e, quindi, ben presto in quella testolina era immagazzinata quasi tutta la storia del nonno, vita e miracoli. “Vedi, amore mio, sono entrato per la prima volta nel Cantiere Navale nel 19..”, disse Angelo un giorno. “Nonno”, prontamente lo interruppe il pargolo, “basta, lo so: era il 1919, martedì 15 febbraio, alle sette e quarantacinque di mattina e pioveva. Non me ne importa niente...”.

Seguì un prevedibile e lungo silenzio.

Angelo, vuoto dentro come una canna, ormai considerava se stesso come una persona inutile, incapace d’interessare il nipotino, figuriamoci gli altri. “Enrico ha ragione,” – pensava – “come tutti i vecchi, anch’io vivo solo di ricordi e dico sempre le stesse cose, belle solo per me perché mi fanno sentire vivo, realizzato ed un tantino importante”.

Senza più parlare, a passi lenti camminava sulla spiaggia deserta davanti al Cantiere; il nipotino, allora, amorevolmente gli strinse la mano con più forza.

Angelo pensava al duro lavoro svolto nello stabilimento, all’ammirazione dei compagni, alla stima dei superiori, ai successi sportivi e, soprattutto, alla bella famiglia, che dignitosamente aveva sostenuto a spese di grandi sacrifici, cosicchè il figlio aveva potuto studiare, laurearsi in economia e commercio e diventare dirigente nello stesso cantiere navale dove lui aveva lavorato per molto tempo.

“Nonnino, non ti sei mica offeso? Dai, raccontami qualche cosa di quando eri massaggiatore della squadra di calcio”. Il nonno sapeva benissimo, per precedenti esperienze, che Enrico non era affatto interessato a questo sport. In realtà, molto tempo prima Angelo era stato un ottimo massaggiatore di serie C; egli aveva acquisito una buona conoscenza di traumatologia muscolare ed era noto per miracolosi linimenti ed originali massaggi.

Il nonno rispose che non era triste; il silenzio era dovuto esclusivamente al fatto che, nonostante il nodo al fazzoletto, non gli riusciva di ricordare cosa avrebbe dovuto fare quella mattina. Soddisfatto dell’esito dell’improvvisata giustificazione, continuò la passeggiata ed il racconto con una felicità pari a quella dei gabbiani che, impegnati nei quotidiani giochi spericolati, tracciavano improbabili geometrie in un cielo azzurro e profumato di salsedine sopra il mare immobile.

Un bel mattino, la nuora Marzia, tempestivamente lo informò sottovoce della seconda gravidanza. Istintivamente Angelo abbracciò la nuora, lasciandole credere di non aver notato il pudico rossore delle guance. La notizia era bellissima. Infatti, il piccolo Enrico aveva bisogno di una compagnia perché “un figlio solo è poco”. Inoltre, segretamente pensava che al futuro nipotino avrebbe potuto raccontare la sua vita senza sentirsi dire, almeno per un bel pò di tempo,: “Nonno, basta... queste cose le conosco... cambia disco...”.

Una volta era tutto diverso. Nonna Maria, morta da ormai cinque anni, ascoltava più volte gli stessi racconti senza lamentarsi. “Se potesse vederci lei e sentirci...”. Uomo di fede sicura, sapeva che Maria era presente in spirito, perciò subito aggiunse: “... ma non quando mio nipote mi tratta come un demente...”.

La speranza di avere almeno un nipote appassionato di calcio risultò presto delusa. Luca, quasi fosse stato clonato dal fratello, si comportò esattamente come Enrico: dopo le necessarie poppate ed i lunghi pianti, raggiunta l’età giusta per camminare con le proprie gambe, accompagnava il nonno nelle consuete passeggiate, pronto ad interromperlo: ”A parte il fatto che non me ne frega niente di quello che mi racconti, lo conosco già...”.

Angelo, ormai abituato a siffatte situazioni a seguito delle precedenti esperienze, non appariva dispiaciuto più di tanto.

Tutto considerato, egli aveva validi motivi per essere un nonno felice: Luca ed Enrico, fisiologicamente maleducati secondo lo spirito del tempo, crescevano sani, intelligenti e belli, molto belli, come gli facevano notare parenti ed amici, senza che ve ne fosse alcun bisogno.

Con il passare degli anni inesorabilmente la traiettoria dell’umana esistenza si dirige verso il basso, accompagnata dalle ben note carenze psico-fisiche, spesso motivo di comicità per i non interessati. Ciònonostante, il nonno non si affliggeva più di tanto perché i familiari tutti, in verità molto amorevolmente, ridevano per il suo comportamento a volte da commedia dell’arte.

Alla sera, davanti alla tele, Angelo astutamente evitava le poltrone ben imbottite e preferiva sedersi dietro ai nipoti sopra una scomoda sedia da cucina con la segreta speranza, sempre delusa, di addormentarsi sì, ma il più tardi possibile.

Ben presto il suo capo, già patologicamente oscillante a riposo, lentamente si spostava nella direzione della nuca degli attenti pargoletti, tanto da fare sorgere nei presenti la preoccupazione per la inquietante possibilità che la posizione del baricentro cefalico, prima o poi, abbandonasse pericolosamente il punto d’equilibrio. Per fortuna un improvviso e periodico scossone, a direzione contraria, riportava velocemente la testa canuta al punto di partenza, accompagnando il moto con un breve, ma cavernoso russare.

Contemporaneamente gli occhi di Angelo si aprivano ed alternativamente si chiudevano come fanno quelli di certe bambole durante movimenti imposti di flesso-estensione del capo.

Era uno spettacolo nello spettacolo. Per prevenire una probabile capocciata del nonno ai nipotini innocenti, Marzia collocava ogni sera un morbido cuscino, che da tempo ormai non aveva più visto il letto, tra le testoline dei figli e lo schienale del loro divanetto.

Col passare del tempo, la vescica urinaria di Angelo, divenuta sensibile e capricciosa a causa di una prostata decisamente ipertrofica, costringeva il vecchio a recarsi al bagno due volte, almeno, per notte con conseguente interruzione del sonno del figlio e della nuora, ovviamente, entrambi in pensiero per la sua fisica incolumità. Infatti, Angelo, rispettoso dei diritti altrui, non accendeva mai la luce della sua camera da letto. Al buio frequentemente, però, andava a sbattere contro lo spigolo della porta, prudentemente socchiusa, confermandone la solida struttura.

Una piccola luce tascabile, messa dalla fiduciosa nuora sul comodino del nonno per essere utilizzata al bisogno, non sortì l’effetto atteso: svegliato nel cuore della notte dal suo orologio biologico, Angelo, lentamente, molto lentamente, presa coscienza di chi fosse e dove si trovasse, sicuro del suo orientamento temporo­-spaziale, allungò una mano verso il comodino incontrando nell’ordine l’orologio da taschino, le pesanti chiavi, l’opera del suo dentista dentro un bicchiere pieno d’acqua e la grossa lampada, che in successione ravvicinata rovinarono a terra con grande fracasso. La piccola luce tascabile restò solitaria al suo posto.

L’antico ed assai utile “pitale”, con molto tatto consigliato dal figlio, portò ad un prevedibile ed igienicamente disastroso risultato.

Infatti, il mattino seguente, infilati i guanti di gomma, la nuora fu a lungo impegnata nel prosciugare il pavimento in vicinanza del letto, alla presenza dell’avvilito nonno, che incavolato fissava l’intatto ed asettico oggetto di plastica, con visibile rabbia e manifesto desiderio di vendetta.

Il creativo Enrico suggerì, allora, di sistemare sul pavimento della stanza dei piccoli rettangoli luminosi ed appaiati come quelli delle piste notturne degli aeroporti e di applicare sopra le due superfici della porta cartelli, ovviamente lampeggianti, del tipo “vietato il transito”, ben visibili a porta chiusa.

Tuttavia, esisteva il reale pericolo che il nonno, visto il divieto scritto sopra la porta, cercasse di uscire attraverso la finestra; l’appartamento si trovava al terzo piano.

Il problema fu risolto con una comunicazione diretta tra stanza e bagno, aperta in un muro, e fissando una lampadina bleu di pochi volts un metro sopra la “sedia”. Per maggiore sicurezza i nipotini incollarono sopra le mattonelle sottostanti la lampadina una enorme freccia fosforescente, la cui punta terminava là dove il nonno finalmente avrebbe potuto soddisfare il suo urgente, fisiologico, notturno bisognino.

A primavera inoltrata, durante 1’ultimo allenamento prima dell’incontro decisivo per passare alla categoria superiore, il centravanti della locale squadra di calcio riportò un doloroso trauma al quadricipite destro. Le comuni terapie non sortirono l’effetto auspicato cosicché il “bomber” non era in condizioni di giocare. Il padre del prestigioso attaccante si ricordò di Angelo, già eccellente massaggiatore, a suo parere l’unico in grado di compiere un miracolo.

Angelo volle un maleodorante linimento, ormai fuori moda, preparato prontamente dal consenziente farmacista, presidente della squadra, ma in realtà “capo della tifoseria degli ultras”, come desiderava essere definito. Con una tecnica originale, impressa nella memoria, Angelo ritmicamente faceva scivolare le sue mani, ora dolcemente ora vigorosamente, sopra il quadricipite contratto, al quale periodicamente assestava colpi decisi e ben dosati con il lato interno delle mani esperte. Mentre il muscolo lentamente andava rilassandosi, acquistando a poco a poco il tono normale la gioia e lo stupore dei presenti aumentava.

Angelo, visibilmente stanco, era assai soddisfatto per il risultato ottenuto ed apparentemente ringiovanito per aver rivissuto antichi eventi e felici emozioni, indelebili nella memoria e non solo nel ricordo. Infatti, bisogna distinguere tra ricordo e memoria. Il ricordo sfuma. La memoria è ritrovare qualcosa che è presente. La memoria non annega nel rimpianto. La memoria è ricominciare.

Il giorno dopo, il “bomber” segnò le due bellissime reti di una vittoria indimenticabile.

Di ritorno dal campo sportivo, numerosi tifosi esultanti incontrarono Angelo, che lentamente concludeva la passeggiata domenicale insieme ai due nipotini, facendolo oggetto di complimenti, ringraziamenti ed auguri: “AN-GE-LO sei un mito. AN-GE-LO sei un dio”, urlarono a lungo.

I nipoti, orgogliosi di avere un nonno inaspettatamente importante e “magico”, incuriositi osservavano il lungo abbraccio del gigantesco calciatore miracolato, nelle cui poderose braccia Angelo era praticamente scomparso, mentre affettuose pacche si abbattevano sulle spalle, minute e stanche.

Quella sera nipoti, nuora e figlio contribuirono a farlo sentire importante, utile e vivo più che mai. Dopo molto tempo, a seguito del tasso ematico e tessutale di adrenalina, Angelo non dormì davanti alla tele; vide il telegiornale ed il programma della prima serata.

In verità, egli non vide un bel nulla, nonostante gli occhi spalancati.

Nella sua memoria vi era posto soltanto per l’amata Maria; la vedeva mentre gli accarezzava le mani, quando la sera sedevano stanchi davanti alla gigantesca radio, coronata da enormi, mostruose antenne, che alla meno peggio irradiava programmi musicali.

Felice per la memoria di quel legame d’amore, egli percepiva distintamente il profumo di vita.