Il mal sottile

Antonio Raimondi


 

<< Questa malattia somiglia alla luna regina Illa gravis oculos conata attollere rursus
e per questo alcuni sapienti medici la chiamano deficit; infixum stridit sub pectore volnus. Tisi lunare. Ter sese attollens cubitoque adnixa levavit...
L'avversione al cibo, la febbre, l'affanno, <<Ella stremata tenta invano e più volte di alzare la tosse, l'emissione di sangue, la perdita gli occhi; il respiro sibila attraverso la profonda della voce sono le sei espressioni della tisi, piaga del petto. Tre volte appoggiandosi al braccio regina lunare>>. si sollevò e tre volte ricadde sul letto e cercò la Susruda-A'jurveda.Libro III.Cap.XLI luce del cielo con gli occhi erranti e trovatala dette  un gemito…In un momento tutto il suo calore si  disperse e la vita fuggì con il vento>>.

" Didone" dall'Eneide di Virgilio


Questa dovrebbe essere la storia di un bel giovane molto semplice, buono ed umile di Trebisacce. E’ una storia carica di molti anni, ormai coperta, come si suole dire dalla ruggine del tempo. Una storia che potrebbe assomigliare a tante storie di povertà e di miseria del dopoguerra paesano. Per assurdo e con tanta fantasia potrebbe assomigliare anche alla storia di Giovanni Castorp , ovvero a quella descritta in quella summa manniana che è la Montagna incantata. Si chiamava, questo ragazzo meraviglioso, Costanzo Vincenzo ed era figlio di 'Gicc 'i Gajitanell e di Fjlumena 'i Rizzòn'. Fu sfortunato perché in giovane età gli morì la madre. Il padre si sposò e lui andò " friso"( servo) con il compito di pascere( pascolare) le capre presso Pavjil' 'i Tùll', massaro. Così chiamavano a quel tempo nel nostro paese le persone che possedevano terreni ed animali da pascolo: vacche , pecore e capre. La povera gente come lui a quei tempi viveva d'aria e di un pezzo di pane senza sale .Veniva vestita con abiti vecchi e laceri e così mangiando razionato e pane <asciutto>,e pascolando gli animali con qualsiasi tempo e assorbendo acqua e gelo durante le intemperie divenne malaticcio e debole ed incominciò a tossire. Fu ricoverato in diversi sanatori: a Villa Marulla a Cosenza, a Sondalo sulle Alpi, al Cardarelli, ed infine ad Ostuni dove morì a trentuno anni di Tubercolosi polmonare. Durante i miei anni di liceo al B. Telesio, l'ho avuto quotidianamente davanti, ho vissuto nel suo mondo di affetti e deliri e in quello dei suoi sfortunati compagni. Durante gli anni universitari e nei primi anni dopo la laurea ho cercato di comprendere questa terribile malattia e con l'aiuto ed alla Scuola di grandi maestri ( Omodei Zorini ) della medicina, di contrastarla nella sua manifestazione renale.Ho assistito, purtroppo, spesso solo ai suoi luttuosi trionfi con i quali essa ha tenuto in allarme la mia coscienza ed ha dato un indirizzo alla mia professione ed una guida alla mia anima e ai miei pensieri. Non ha lasciato nessuno scritto per descrivere il suo calvario. La sua anima ,la sua bontà e il suo amore erano così grandi che la sua sofferenza per me è stata attutita solo da quella letteratura ,che ha partecipato alla contemplazione del dolore del mondo, che ha ispirato opere importanti di grandi scrittori e a cui idealmente ho voluto accostare la sua storia per il denominatore comune di tutti gli uomini affetti nel tempo dal Mal sottile. Per i grandi scrittori una vita spezzata ma non dominata dalla tubercolosi ( una malattia molto antica, nota, raccontata, commentata, interpretata da quegli stessi poeti e narratori che ne furono vittime ) e che dalla rare facoltà della loro natura geniale furono posti sulla via della fama, o forse dell'immortalità. Per tutti gli altri, moltissimi ignoti, una sorte uguale anche se meno avventurata . Essi patirono le stesse prove ed andarono incontro allo stesso destino di lenta consumazione del corpo fino alla morte. Solo che il loro nome e la loro vita di sofferenza sarebbe stata veramente scritta sull'acqua, se una tomba al loro paese non ne avesse accolte le loro ossa, dopo tanto peregrinare da una < veranda> all'altra. Questa modesta rievocazione vuole essere un tributo postumo di devozione della medicina e della letteratura a questi infelici eroi finiti loro malgrado < negli orti della regina>.

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…" Il loro luogo d'incontro era la<< veranda>> del sanatorio, del tubercolosario ,dove erano uniti da una comunanza nella noia e nella paura; era un mondo a parte con i suoi riti, il suo gergo, le sue vittime, i suoi intrighi, un mondo ridotto alla miseria ed ai sogni facilitati dai deliri della febbre. Dal romanzo " La Veranda "di Salvatore Satta. -- La dea sa farsi pagare il suo tributo di silenzio, immobili sulle sdraio cogli occhi chiusi o concentrati in un punto lontano, i profili resi un po' animaleschi dal protendersi delle mascelle e delle labbra, in quell'infinito quarto d'ora (la triste bisogna della misurazione della febbre ) essi rivivono, ciascuno dentro il suo petto travagliato dal cuore in tumulto, nostro Signore Gesù Cristo quando sudò sangue tra gli ulivi; e in ciascuno di loro si ripete e si compendia tutta la miserevole storia dell'uomo. Quelle bocche audaci alla bestemmia, quelle lingue scurrili, quelle mani sempre alzate nella minaccia, quel sangue torbido, quei nervi esaltati, tutta la loro esistenza dominata dagli istinti ,in quei pochi momenti si fiaccano, come Cerbero al fango, in un brivido. La paura aleggia veramente in quell'ora. Non l'immagine della morte, con tutto il suo corredo di balorda retorica, che soltanto chi crepa di salute può figurarsi, ma la paura, la volgare paura di morire, che fa della veranda e degli uomini il dominio incontrastato di un despota: l'istinto di conservazione. Il pensiero che l'indifferente strumento possa annunciare una linea, una linea soltanto di febbre, ci prostra e ammutolisce: così come un sospiro di liberazione ci rende poi la parola. La stessa parola di prima, cattiva e scempia per i più, buona e mite per pochi, vana per tutti, la parola che maledirà cento volte ancora la vita…"

…Dalla Montagna incantata di T. Mann dove il personaggio H.Castorp trova nella sua condizione di malato il tramite per la realizzazione del proprio io, per le maturazione delle proprie facoltà spirituali e per la accettazione del proprio impegno di individuo morale. -- il Primario… mi percosse e auscultò e su due piedi trovò una cosiddetta smorzatura, un punto malato nei miei polmoni…la Montagna incantata è diventata il canto del cigno di quel modo di vita...

…Dalla Diceria dell'untore di G. Bufalino. -- bastava talvolta, tra sonno e veglia, un fischio di treno addolcito dalla distanza, oppure il cigolio dei carri di zolfo in fila per la collina, e si balzava col cuore in tumulto, seduti sul letto, a origliare le invidiate informazioni e leggende di quella stella infedele in cui s'era trasformata la terra. Che cosa racconta un treno, un carro che va, fra bivacchi e lune sull'aia, lungo profumi d'aranci e paesi, in una notte d'estate? Niente, eppure so di occhi sbarrati nel buio, che non avevano altra vacanza se non di sorprendere, al seguito di quelle ruote, qualche guizzo di vita durante la via: un vecchio che prende il fresco, due teste che si parlano sotto il lume della cena…Si tornava dall'immobile viaggio più lieti, più tristi, chi può dirlo, e tuttavia non delusi del nostro bottino di nuvole, l'unico che la sorte non aveva facoltà di vietarci. Allo stesso modo il pellegrino, a cui accade di sostare sotto un davanzale straniero, sospende il passo se mai gli giungano, in una pausa di canto, svogliatezze e amorosi sussurri di donna; e se ne riparte racconsolato, stringendosi nel pugno quel bene, quel pane rubato, di cui cibarsi più tardi.

…Da Fede e bellezza di N. Tommaseo. -- Giovanni le si accosta quasi supplichevole: e stava per baciarla in fronte quando si accorge di un non so che rosso sul volto suo più pallido e più soavemente mesto che mai. Mentre guarda spaventato, Maria ritira in fretta la pezzuola che aveva sul grembiule; egli trepidando gliela prende, la trova intrisa di sangue.

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…Anton Cechov praticò la medicina per quasi l'intera sua vita ,quando e finché ciò non gli fu impedito dalla sua malattia. Egli ebbe della professione del medico un'alta coscienza e la esercitò con totale disinteresse e spesso al di là delle proprie forze. Morì di tubercolosi polmonare a quarantaquattro anni, nel luglio del 1904." Oltre alla medicina, la moglie legittima, ho un'amante, la letteratura; ma non ne parlo, giacché coloro che vivono nell'illegalità moriranno nell'illegalità! Quando l'una ( la sposa legittima ) mi annoia , vado a letto con l'altra ( la letteratura amante). Forse vi è un certo disordine , ma non la monotonia …. Sarebbe bello se ognuno di noi lasciasse dietro di sé una scuola, un pozzo o qualcosa del genere, di modo che la nostra vita non slitti nell'eternità senza deporre traccia alcuna… Nell'uomo muore solo quanto è legato ai nostri cinque sensi: quel che sta oltre questi cinque sensi è probabilmente enorme, inimmaginabile, sublime, e sopravvive".

…Novalis si ammalò e morì di tubercolosi.--L'uomo è nato a soffrire. Tanto più misero, tanto più sensibile alla morale e alla religione.

… John Keats : morto di tisi a ventisei anni. -- Ho continuamente la sensazione che la mia vita reale sia passata e che io stia vivendo un'esistenza postuma…I frutti più preziosi della breve stagione poetica nacquero durante i tre anni del decorso conclamato della sua malattia polmonare che non distrasse il giovane poeta dalla adorazione della bellezza né velò la purezza dei suoi canti più nobili.

…Guido Gozzano morì a trentatré anni al tramonto di un giorno di agosto. -- I medici mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni// m'auscultano con li ordegni il petto davanti e di dietro. Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia,// se già la Signora vestita di nulla non fosse per via. La vera musa di Gozzano è la tubercolosi, e il motivo segreto o palese di tutte le sue pagine è la coscienza del suo male senza rimedio; pertanto la sua poesia non fu frutto di vaneggiamenti intellettuali, ma espressione sincera della sua anima dolorante. Da un punto di vista religioso la malattia incide profondamente sull'animo umano, determinando un nuovo orientamento spirituale. E' noto che la malattia, costringendo l'uomo a toccare con mano i suoi limiti, suscita ,in un primo momento, soprattutto in chi non ha una fede robusta, un senso di ribellione verso Dio, in un secondo momento, dopo lunga e sofferta riflessione, la malattia, mostrandogli l'insufficienza del suo essere, fa nascere nel suo animo un desiderio di Assoluto.

…Giuseppe Altomonte, calabrese di Reggio, fu un poeta adolescente. Morì di tubercolosi a sedici anni- -- // sono foglie i miei versi e niun le coglie// quando il vento con sé le porta via //son foglie che il vento a me le toglie //e lascia languire in su la via//.

…Ercole Luigi Morselli, medico mancato ,ulisside , guerrigliero in terre lontane, favolista e commediografo, morì di tubercolosi nel 1921.Di lui si ammira la forza morale e la serena elevazione di fronte alla malattia. -- Per gli altri il male è un tormento, per me è una luce. Ti confesso che mi sembrerebbe di aver buttato via il mio tempo se da tanta assaporata esperienza di dolore io non avessi saputo apprendere nessuna di quelle miracolose parole che inteneriscono il cuore e lo stringono come in un abbraccio fraterno e lo persuadono di essere migliore. Io credo che l'arte sia nata per questo.

…Katherine Mansfield affetta da tubercolosi polmonare morì nel pomeriggio del 9 gennaio del 1923 in seguito ad un'emottisi irrefrenabile. Sulla lapide fu incisa una frase di Shakespeare a lei cara. -- Ma io ti dico, o mio stolto signore, che da questa ortica, il pericolo, noi cogliamo questo fiore, la salvezza. -- Sono tisica. V'è ancora una grande quantità di liquido e di dolore nel mio polmone malato ma non importa. Non desidero ciò che non potrei avere: Pace, solitudine, tempo per scrivere i miei libri, la bellezza della natura da osservare e da meditare…Nient'altro. Oh! vorrei anche un bambino…Ahimè Cechov! Perché morire? perché non posso più chiacchierare con te a tarda sera nella buia stanza dove la luce è verde per gli alberi che fuori si dondolano. Vorrei scrivere una serie di cieli.

…Franz Kafka morì il tre luglio del 1924 di tubercolosi. Il processo morboso polmonare fu accertato clinicamente e radiologicamente verso la fine di agosto del 1917:si trattò di una forma polmonare biapicale evolvente verso la tisi cronica con manifestazioni piuttosto precoci di insufficienza respiratoria, complicata in seguito da una probabile localizzazione intestinale e laringea. Tale malattia, insorta e decorsa in modo così comune, che esplicò tutte le sue attitudini e che in nulla si distaccò nel caso di Kafka dai suoi più usati paradigmi, ebbe nello spirito di questo malato di genio risonanze singolarissime. La TBC è per lui un aspetto del suo disordine interiore e del disordine dell'esistenza.-- Si sollevò, piegò la testa all'indietro per prendere slancio e come un lanciere affondò il becco attraverso la mia bocca, dentro di me, cadendo all'indietro sentii, liberato, che nel mio sangue straripante, di cui erano piene le cavità, l'avvoltoio affoga irrimediabilmente…"Io vivo in pace dentro la mia casa e intanto lento e silenzioso, venendo chissà da dove, l'avversario si scava la strada verso di me". Umanamente umiliato dalla paura del dolore fisico, fu più spesso dilacerato dai problemi morali e spirituali rimasti insoluti fino alla vigilia della morte; il suo spirito era trascinato, durante la malattia, tra gli opposti limiti della disperazione e della conscia rassegnazione a tratti rischiarata dalla illusione o da fugaci balenii di una speranza sovrumana. e comunque non cessa fino all'ultimo di anelare disperatamente a una vittoria su se stesso, a un impossibile inserimento nel mondo , a una Grazia che nessuno gli promette, a una Fede di cui sente l'urgenza ma che rimane irraggiungibile.