Letteratura e Medicina

Antonio Raimondi


" Un medico appartiene a due culture: quella dominante è la scienza, la seconda è l’ arte di curare, che è indispensabile al pieno successo della scienza. In futuro il dominio della scienza andrà oltre la malattia e la cura, ma non sostituirà mai l ‘arte. La medicina non può abbandonare la guarigione delle anime sofferenti senza compromettere il suo ruolo per la condizione umana. Soltanto quando un medico è in grado di riflettere sul destino del malato afflitto da dolore e paura, allora può capire l’ individualità specifica di un singolo essere umano : un paziente è qualcosa di più della sua malattia.

L’ arte perduta di guarire di B.Lown (cardiologo insigne)

Il MEDICO DEI POVERI

" Nel Medioevo e nel Rinascimento la povertà è causa di molte malattie e <povero> è quasi sinonimo di malato. Nasce pertanto da questi bisogni la <condotta medica> che si prefigge come obiettivo quello di curare per conto della società i cittadini privi di risorse. Naturalmente questa figura eroica di medico subisce notevoli evoluzioni nel corso dei secoli. Nel tardo 700 egli riesce ad incarnare in sé e il lavoro intellettuale del medico<<filosofo>> ed il lavoro manuale del chirurgo e dell’ostetrico. Nel primo ottocento, poi, il medico condotto( medico di campagna di Honorè de Balzac)si affianca nelle sue finalità all’ opera del parroco, specie del curato di campagna ( descritto mirabilmente dallo scrittore Carlo Ravizza << dove si avvalora la tesi dell’alleanza tra parroco e medico, ciascuno nel suo ruolo, quegli per l’anima e questi per il corpo, ma alla fine dei conti tutti e due per l’uno e per l’ altra>> ).Tra otto e novecento si fa carico e della salute e dei bisogni della gente facendo opera di moralizzazione civica e sociale nonché organizzatore della prevenzione della salute.

***

<< Su, inforca il tuo cavallo, rasenta i precipizi, attraversa i torrenti; misura con il biroccino le lunghe strade assolate e fangose, gira la città di catapecchia in catapecchia. Riposerai la notte. E la notte sussulta allo squillo imperioso del campanello, balza giù, va magari a far da levatrice in una casupola lontana lontana , dove manca tutto. E all’ alba ricomincia, e, qua, in una remota stamberga ,improvvisa un’ operazione, improvvisando prima con trespoli e sgabelli e cenci, il letto operatorio; e là, forse in una bella casa, ascolta senza dar segno di cruccio, che la famiglia ha creduto di dover ricorrere ad un altro e che tu sei ringraziato e licenziato; e altrove leggi in un amaro sogghigno, odi anche da una bocca sibilante l’ accusa di aver lasciato o d’ aver fatto morire tu, tu che vuoi alla natura strappare il potere della vita, ma toglierle il potere della morte non puoi; e altrove ,dove il male è il mal della miseria, il male in cui il bacillo specifico è l’ egoismo umano, fa tu l’ ammenda di tutti quelli che sbirciano sotto la tavola il pane che là manca, e mettiti le mani in tasca, o ben pagato, e manda al misero un po’ del brodo e della carne preparati per la tua famigliola! E rassegnati a passar ancora gli esami ogni giorno della tua vita, a esser giudicato, a esser classificato da tutti i buoni uomini della tua condotta, i quali sembrano credersi in diritto d’ aspettarsi da te il miracolo e nel tempo stesso pensano e dicono d’essere in grado di far l’ arte meglio di te. E rassegnati, tu che forse un giorno non avevi che amici sorridenti, a non vedere che cipigli di nemici, a sentirti di noia ,di peso di troppo, dove ti recasti avvolontato di bene, dove sognavi che ben ti volessero per il ben che facevi. E rassegnati a volerlo fare; a vedere o sapere che manca l’ acqua per lavarsi, e abbonda l’ alcool per avvelenarsi, e che i bimbi poppano latte scarso o infetto, e che i fanciulli avvizziscono nelle scuole senza aria e senza luce. Rassegnati: che cosa puoi far tu, servo di tutti e di ognuno, arbitro di nulla?…>>.

***

<<…Viveva coi contadini ,e nelle ore di riposo e di sosta, con alcuni pochi libri di storia e letteratura che, oltre i non pochi dell’ arte sua, aveva raccolti ed amava. Ma le ore di riposo e di sosta erano scarse. Per una desolata campagna quasi incolta, popolata di bufali e di cinghiali…il povero medico, sempre a cavallo correva da un casolare all’ altro a curare i contadini febbricitanti. Era anch’ esso fiero, diritto, soldatesco nel piglio e nella voce, e castigava i figli con non altro che un’ occhiata! Ma li istruiva anche, e bene. Mancavano nel selvaggio borgo, maestri: era esso il maestro dei figli "nelle ore di riposo e di sosta " Insegnò tra l’ altro latino, e uno di quei figli particolarmente lo imparò bene; ché andato poi a Firenze fu ammesso in una scuola pubblica con quella sola istruzione paterna, che parve sufficiente e commendevole. Quel giovinetto era Giosuè Carducci >>.

***

<<…Presi per una viottola e salii verso la chiesa del villaggio. I pochi viandanti, che incontrai, si scoprirono al mio passaggio, si arrestarono un istante a guardarmi stupiti ;qualcuno disse: - E il nuovo medico. - Giunto sulla spianata della chiesa, girai gli occhi da ogni lato e dominai tutto il territorio della condotta, un villaggio si distendeva lungo il fiume, un altro sorgeva a metà costa del monte su cui ero, altri due erano posti a maggiore altezza: aggruppamenti di case nere di legno, fra le quali spiccava il biancore della chiesupola e del campanile aguzzo.>>

***

<<…Quando il medico condotto era "un pover’ uomo" : così amava rievocare il grande clinico medico prof. Augusto Murri ai suoi assistenti di Clinica Medica ed agli amici o nei congressi quel periodo della sua giovinezza in cui anche lui aveva svolto la professione di medico dei poveri in sperduti paesini delle Marche <<… Ai tempi miei il medico condotto era ancora un pover’ uomo, che per poche decine di lire al mese doveva saper tutto, fare due ore di montagna sopra a un mulo per eseguire un salasso o per assistere invece della levatrice una partoriente in un misero tugurio, ma nello stesso tempo saper disbrigare i più intricati aggrovigliamenti de fatti dinnanzi a un malato di cervello o una febbre da mesi. Uscito dalla scuola e balestrato in una povera condotta di campagna su per gli Appennini, conobbi ben presto quando pochi dei miei maestri mi erano stati di benefici. I parecchi decenni che sono trascorsi non hanno punto sbiadito l’ impressione che provai una notte d’ inverno quando mi ritrovai solo in una povera casa di contadini dinanzi a un uomo ch’ era pressa a morire per un ernia inguinale strozzata…Là fra voi è un infelice, che non fida che in voi e che vi affida tutto se stesso; c’è un solo giudice ,ma incorruttibile, la coscienza vostra>>.

<<Nel discorso della "morale del medico," il medico Giuseppe del Chiappa scrive che egli deve volare nei ricetti sacri al dolore, e addurvi che più lice, sanitade, speranza, consolazione; il medico che sa consolare, oltreché palliare ove il guarir non ha luogo compie opere di misericordia non solo corporale, ma anche spirituale. >>

<< Tutto uno stuolo di medici dei poveri, di medici condotti, di medici pratici, ingaggiano battaglie contro malattie vecchie e nuove, individuali e sociali. Per essi non c’ è discontinuità tra impegno tecnologico clinico e impegno antropologico-sociale; la loro attività operosa è una sintesi fatta da medici impegnati su più fronti; il medico non è solo un tecnico, curante la malattia somatica nel corpo di questo o di quello, è anche un operatore sociale, che ha cura e si fa carico dei mali che minacciano tutti; il medico dei poveri in definitiva risalta come una figura professionale la cui identità scientifica è fortemente connotata da una missione, che si ispira a valori integrativi di filantropia, di umanitarismo, di apostolato laico, di moralizzazione civile, di giustizia sociale, di organizzazione della salute, di teoria della malattia anche come problema sociale >>

A questo molteplice impegno del medico dei poveri che poi nel Novecento si incarnerà nella figura di moltissimi medici condotti e di molti medici di famiglia ( compresi quelli del nostro comprensorio ,alla cui memoria e sacrificio dedico questo scritto) il poeta Giovanni Pascoli nel discorso " Ai medici condotti ",pronunciato a Bologna il 4 maggio 1908 dà consacrazione con voce autorevole.<< Donde venite, o uomini? Venite da un mondo ben reale, o compagni miei! Venite da tutte le miserie umane che voi cercate di prevenire, di curare, di lenire almeno…>>

" Non sempre per i medici di tutti tempi e di tutti i luoghi ciò che appare è anche vero: è quel che non si vede del medico in genere a decretarne la capacità, l’efficienza, l’ abilità; è il suo mondo interiore, è la sua onestà, è la severità della sua preparazione, è il suo senso estetico, è la sua disponibilità a porsi al servizio della vita, è il patrimonio culturale "insaccato" nel suo cervello, è la sua mente, è la sua saggezza, la sua carica umana, è la sua etica; è la sua coscienza".

La figura che emerge da questo breve excursus letterario affida certamente alla storia l’ immagine spirituale del medico dei poveri ( di cui il più celebre è stato sicuramente Robert Koch).Una spiritualità che può apparire alquanto desueta, ma forse proprio per questo ne fa rimpiangere la sua valenza etica. Il medico dei poveri era il professionista cui ci si affidava in prima istanza, mossi dal bisogno e da un atto di fiducia, da un sentimento di solidale richiesta e di aiuto, da una partecipazione che tendeva a stabilire un punto di contatto umano ( La valigetta del dottore di Cronin etc).E nonostante la grande dignità del suo mandato e dei suoi studi, l’affetto smisurato verso la gente semplice e bisognosa lo faceva accorrere spesso non solo al capezzale del paziente, ma anche tra il fieno sparso di una stalla dove stava in cattive condizioni un animale: un asino, una mucca ,una capra ( così si comportò il medico e scrittore Carlo Levi ).Ed infine allorché il corpo, che in ogni modo il medico dei poveri aveva difeso contro le insidie della malattia, soggiaceva alla legge universale della morte, lungi dal risentire su di sé il peso umiliante di una sconfitta, pensava che rimaneva aperta ancora la possibilità di recare all’ infermo l’ aiuto estremo e più importante dal punto di vista cristiano, chiamando al suo capezzale quel curato di campagna(sacerdote) che gli avrebbe aperto quel limitare di una vita divina che non conosce mai tramonto.

Bibliografia: G. Cosmacini ( Medici nella storia d’ Italia )