E' Chopin...

Enzo Brizio


Avanzava al buio, lentamente, strisciando un poco i piedi sul pavimento lucido, le braccia tese in avanti ad immaginare impossibili sensazioni, l’ansia di un bambino timoroso ma curioso, una lieve tachicardia, il respiro che solo ogni tanto si concedeva una profonda inspirazione liberatoria.
Avanzava nella stanza immersa nel silenzio e nell’oscurità, da dove improvvisamente mani adunche di streghe vogliose o spiriti maligni dell'infanzia si materializzavano per antichi incanti, presenze inquiete di ancestrali terrori che sopraffacevano la ragione.
Avanzava fischiettando sommessamente, per inconfessabile compagnia, per non essere solo nell’oscurità, per non ammettere l’inquietudine, per orgoglio, per essere esploratore della jungla, cavaliere impavido senza macchia e senza tema che entra nel covo del drago. San Michele... come sarà mai stato, veramente, quel povero drago? E il mostro di Loch Ness?
Qualcosa lo toccò sulla gamba, lievemente ma con decisione; qualcosa che non aveva alcuna intenzione di recedere, che rimaneva lì, duro, ribelle, ostinato, superbo.
Sorrise, e fu subito tranquillità nel buio. La mano si protese, usa a distanze percorse all’inverosimile, con l’indice in avanti, sicuro, baldo, sprezzante, a cercare (ma non ne aveva bisogno: era lì, lo sapeva già) la vittima destinata, certo di trovarla, senza alcuna concessione al dubbio, neppur minimo. Era lì, e la trovò subito, con superiore soddisfazione; non esitò nemmeno un attimo, la schiacciò, deciso, quasi in fretta, per porre fine al buio, all’ansia, al grembo materno in cui non voleva più stare.
La schiacciò.
E fu subito luce.
La piccola lampada sul pianoforte gli restituì la stanzetta di sempre, e lo sgabello che gli premeva la gamba non gli fece neppure abbassare lo sguardo: gli girò attorno e si sedette sospirando, con la strana sensazione di chi è "costretto" a compiere un'azione foriera di gioia.
Lo spartito era lì, davanti a lui, tormentato campo di battaglia percorso in lungo e in largo da cavalcate di matite rosse e blu, da segni e cancellature che ne stravolgevano l’aspetto, violentando quella scrittura ordinata e asettica, austera, con una cascata multicolore, esplosione pirotecnica scoppiettante.
Fantasia-improvviso in do diesis minore, op. postuma.
Allegro agitato.
La voglia di vivere che esplode dall'Allegro era immediatamente smorzata da quell’agitato, messo lì ad instillare sottili angosce, inquieti presagi, tumultuosi affanni, ansie, fremiti, insoddisfazioni. Allegro, ma con rabbia, come se quelle note fossero state gettate sullo spartito da una mano inquieta, per scherno o per vendetta, per gridare a Dio la propria ribellione. Allegro, di un’allegria barbara, che non conosce sorrisi ma osceni sghignazzi, diaboliche impennate di umore che s’erge a vette di trasfigurazione per poi precipitare in baratri disperati, risate isteriche e convulse. Allegro, ma agitato, come solamente un’improvviso può essere, scaturito irripetibile nel cuore del pianista e fissato nervosamente con rapidi scarabocchi su uno spartito innocente, folgorazione musicale che esplode dentro, senza preavviso, con tutta la sua voglia di venire alla luce, con tutta la sua rabbia, con tutta la sua allegria.
Una sola nota iniziale, lunghissima, un sol diesis sospeso nell’aria come una fucilata che squarcia il silenzio della stanza. Non c’è metronomo, non c’è respiro, non c’è battito di cuore, non c’è nulla, nemmeno i pensieri; il silenzio puro, l’assenza, il vuoto, la sospensione della vita, il mondo che si ferma, l’istante finale...
Un sol diesis di otto quarti, eterno, da solo, a sfidare il silenzio, piazzato là come una rocca inespugnabile a difesa di una valle.
Le mani scendono con forza, senza rabbia, in uno sforzato che ha solamente potenza; affondano nel tasto senza percuoterlo; penetrano la tastiera senza violenza; si abbattono come scure divina che estrae il cuore della vittima, ancora palpitante.
Il suono è maschio, è allegro ed è agitato, annuncia tempeste che di lì a poco si scateneranno furibonde, prelude a battaglie senza fine, sovrasta incontrastato con la sua potenza un mondo di affanni ridicoli, vive e grida con forza la sua vita.
È il tutto.
È il nulla.
È per sempre.
È Chopin.